Avete presente Brian Scalabrine? Il ragazzone bianco di Long Beach campione NBA nel 2008 con i Celtics di Garnett, Pierce e Allen, idolatrato da migliaia di fans nonostante non sia sicuramente un giocatore ai livelli delle superstars? Ecco, secondo voi uno del genere come fece a strappare a Danny Ainge un contratto di 5 anni da 15 milioni di dollari complessivi? La soluzione è in 4 semplicissime lettere: ISTP. Introverted, Sensitive, Thinking, Perceiving. Sono le 4 lettere che Jon Niednagel, vero e proprio guru dello sport USA, ha assegnato al suo cervello. E sono, tanto per capirci, le stesse quattro parole assegnate a quelle di tal Michael Jeffrey Jordan.
Ecco lo so, ora vi starete chiedendo: ma se questo articolo parla di Shawn Kemp, cosa c’entra Brian Scalabrine con lui? La risposta è un’altra domanda: se a Kemp fosse stato dato il cervello di Scalabrine, il lungo dell’Indiana sarebbe riuscito ad essere protagonista più a lungo della scena della pallacanestro a stelle e strisce? E soprattutto, chi diamine è Shawn Kemp?
Shawn T. Kemp nasce il 26 novembre 1969 ad Elkhart, e il suo nome inizia a farsi sentire sin dalla High School, frequentata nella sua città natale, vista la sua straordinaria capacità di infrangere qualsiasi record di punti della sua scuola. Grazie anche all’eccellente prestazione nel McDonald’s All American, dove realizza 18 punti giocando in coppia con Alonzo Mourning, Shawn diventa uno dei giocatori più ambiti dai college. Firma una lettera di intenti con i Kentucky Wildcats di Eddie Sutton, uno dei più grandi coach di sempre a livello collegiale, ma fallisce il test attitudinale scolastico (SAT) necessario a giocare in NCAA e sarebbe dunque costretto a saltare l’anno da freshman. Nonostante ciò Shawn decide, un po’ a sorpresa, di restare a Lexington e frequentare l’università. Quanto può durare uno del genere al college senza poter giocare a basket? Tre, dicasi tre, settimane. Il tempo di farsi cacciare per aver rubato un paio di catene d’oro al figlio dell’allenatore ed averle impegnate in cambio di qualche spicciolo per comprarsi, probabilmente, un po’ di marijuana. Finita la parentesi in Kentucky decide di iscriversi al Trinity Valley Community College, università che può tranquillamente non frequentare per corrispondenza. Finisce un anno scolastico in realtà mai cominciato e si dichiara eleggibile per il draft NBA 1989.
Pur risultando ufficialmente in uscita da un college, Shawn Kemp è uno dei primi pionieri ad effettuare il salto dalla High School all’NBA, salto che diventerà successivamente una moda che sarà seguita sia da campioni come Kevin Garnett, Kobe Bryant, Tracy McGrady e LeBron James, ma anche da giocatori più “dimenticabili” come Jonathan Bender, DeSagana Diop e Kwame Brown prima di venire definitivamente abolita nel 2005. Tornando al draft, i Seattle SuperSonics spiazzano un po’ tutti chiamando Kemp alla 17, scelta ritenuta da molti troppo alta per un giovane problematico come lui.
La prima stagione Kemp la trascorre sotto l’aria protettiva di Xavier McDaniel, colui che al college si tagliò sopracciglia e capelli a zero per apparire più truce ai suoi avversari, crescendo partita dopo partita e segnalandosi soprattutto per le straordinarie capacità atletiche. L’anno dopo arriverà a fargli compagnia Gary Payton, un altro che non vorreste mai trovarvi contro in una rissa, e i Sonics scambiano il suo mentore McDaniel e Dale Ellis, iniziando a formare mano a mano la squadra intorno alla loro asse play-lungo. Nel 1992 arriva George Karl come head coach, la squadra migliora sempre di più insieme a Kemp sempre più a suo agio in un contesto che diventa sempre più competitivo, atletico e instabile. Kemp cresce sempre di più, ha un’esplosività clamorosa che lo porta a partecipare più volte agli Slam Dunk Contest, corre in contropiede come una guardia, ha dei movimenti in post affidabilissimi e insieme a Payton forma una delle coppie più eccitanti del panorama NBA, grazie ad alley oop spettacolari in contropiede e a recuperi difensivi clamorosi. Insieme alle sue capacità cestistiche crescono anche i problemi fuori dal campo, che esploderanno definitivamente di lì a poco. Ma la sua regular season 1994, dopo aver concluso la stagione precedente con una finale di conference persa con i Suns, sembra quella della definitiva consacrazione a lungo dominante per Kemp e quella giusta per vincere per Seattle. I Sonics prendono dal draft il lungo difensivo Ervin Johnson e tramite una trade Detlef Schrempf, ala tedesca reduce da una stagione incredibile agli Indiana Pacers. I due si vanno ad unire alla già promettentissima base comprendente, oltre a Kemp e Payton, gente come Nate McMillan, Sam Perkins e Kendall Gill. I Sonics quell’anno esplodono due volte quell’anno. La prima, in senso positivo, in Regular Season: miglior record assoluto, praticamente imbattibili in casa e favoriti d’obbligo per il titolo. La seconda, in modo negativo, nel primo turno dei playoff. Incontrano i Nuggets di Mutombo, che abbatte Kemp e i Sonics per 3-2. Seattle è la prima testa di serie numero uno battuta dall’ottava. La squadra sembra sul punto di sfaldarsi, ma coach Karl riesce a tenere lo spogliatoio unito nonostante tutte le critiche subite. Il titolo andrà ai Rockets di Olajuwon, che si ripeteranno l’anno successivo, quando i Sonics e Kemp, arrivati ai playoff con la testa di serie numero 4 verranno battuti di nuovo al primo turno dai Lakers. Per i Sonics la stagione 1995-1996 è l’apogeo massimo sotto la guida di Karl. Gary Payton è eletto miglior difensore dell’anno, e sarà l’ultima guardia a riuscirci, e finisce insieme a The Reignman, come è stato soprannominato Kemp negli anni passati, nel secondo quintetto All-NBA e titolari nell’All Star Game. Al primo turno dei playoff fanno fuori i Kings di Richmond e dell’ex Marciunolis con un secco 3-1, poi si prendono la rivincita con i Rockets battendoli 4-0 con un Kemp stellare contro Olajuwon, e in finale di conference sconfiggono gli Utah Jazz dello Stockton to Malone per 4-3. Poi, in finale, si trovano contro i Bulls di Michael Jordan, una squadra in missione se ce n’è stata una. Kemp si ritrova a giocarsi le sue possibilità contro un Dennis Rodman allo zenith della sua carriera. I Sonics vanno sotto 3-0, nonostante Kemp sia eroico nelle prime due partite della serie, poi cercano la clamorosa rimonta arrivano fino al 3-2. In gara 6, però, non c’è storia. I Sonics cadono per la terza volta a Chicago, e per Kemp è probabilmente l’ultima partita prima del declino.
All’alba della stagione 1996-1997 il nativo di Elkhart manifesta tutto il suo malcontento per la situazione contrattuale in cui si trova per “colpa” di Jim McIlvaine (chiiiiii?!), lungo proveniente dai Washington Bullets che la dirigenza in estate aveva firmato con un contratto che aveva impedito di offrire a Kemp i soldi che desiderava, cosicchè il lungo inizia a chiedere continuamente lo scambio, ottenuto la stagione successiva quando finisce ai Cleveland Cavaliers in uno scambio a tre squadre che vedeva coinvolti anche i Bucks. La sua prima stagione è buona, ma la sua vita privata esplode completamente. All’inizio del 1998 è padre di 7 figli da 7 donne diverse, più altri figli non riconosciuti sparsi per gli States, provocando numerose prese in giro da parte di rivali e addetti ai lavori. Si presenta al training camp post lockout del 1998 in sovrappeso di 20 kg e con problemi di droga ed alcool messi a tacere immediatamente dalla franchigia dell’Ohio. Il crollo definitivo del Reignman avviene la stagione successiva, quando approda nei Jail Blazers di Sheed e la sua prima stagione termina anticipatamente per il ricovero in rehab a causa degli abusi di marijuana e cocaina. Nel 2003 la sua ultima reincarnazione, questa volta ai Magic che lo firmarono per far fronte ai gravissimi infortuni di Grant Hill. Dopodiche, l’abisso.
Tenta più volte di tornare in NBA, Avery Johnson prova a portarlo ai Mavericks ma poi ci ripensa a causa della sua instabilità fisica e mentale. Nel 2005 viene arrestato a Dallas per possesso illegale di arma da fuoco e durante la perquisizione gli vengono trovati addosso 60 grammi di marijuana e alcuni grammi di coca. L’anno dopo ancora arrestato per possesso di droga a Houston. Nel 2008, a 39 anni e a 5 anni dalla sua ultima partita ufficiale, firma per Montegranaro ma viene tagliato ancor prima dell’inizio della stagione a causa di problemi fisici e continui ritardi.
E’ stata l’ultima parentesi di una carriera spericolata, vissuta tra eccessi sia in positivo sia in negativo anche a causa di un cervello non sempre collegato e connesso. Una carriera con una dura ascesa per il successo, ed una discesa fulminea come una sua schiacciata in contropiede a seguito di una stoppate. Ma c’è sempre la stessa domanda alla fine: cosa sarebbe potuto succedere se ad un corpo e ad un talento del genere fosse stato collegato, non so, il fine cervello di Brian Scalabrine?
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