The Times they are a-Changin’

NBA Rubriche

The beauty of basketball is a player doesn’t need to touch the ball to make an impact on the game.

Correva l’anno 1963 quando Bob Dylan vergava una delle canzoni più belle e pungenti della storia della Musica (poi pubblicata a gennaio dell’anno successivo), un ispirato inno ai tumultuosi cambiamenti che scossero l’America, rinfrescata qualche giorno prima dal discorso “I have a Dream” di Martin Luther King e prossima all’assistere inerme all’omicidio di J.F. Kennedy.

Dal punto di vista cestistico in quegli anni gli atleti afroamericani cominciano a imporre il loro dominio sul Gioco, il tiro da tre punti è ancora ben lontano dall’essere sdoganato e i Boston Celtics di Bill Russell e Red Auerbach dominano l’NBA dando vita alla mistica biancoverde. A distanza di 55 anni si può tranquillamente affermare come non sia più l’NBA dei nostri padri, una Lega cambiata radicalmente negli ultimi anni a livello di idee e di esecuzione.

Se parole o frasi come “Small Ball”, “7 seconds or less” e “Pace and Space” non vi suonano familiari probabilmente non avete prestato particolare attenzione al modo in cui si gioca oggi in “the League”, caratterizzato dallo studio dettagliato da parte di ogni squadra delle Analytics, da ritmo, spaziature e quintetti sempre più piccoli fino alla ricerca spasmodica e quasi ossessiva del miglior tiro possibile.

From downtown

Il tiro da tre punti è senza dubbio l’aspetto che più balza all’occhio, sia che si guardi una partita NBA comodamente sul divano (o perché no dal vivo, che schifo non fa!) sia che la si analizzi a livello numerico. La sua importanza è tale da aver fatto nascere negli ultimi anni una nuova categoria di giocatori, sempre più cercata sul “mercato”, come i 3&D e da far prendere decisioni drastiche alle difese come cambiare sistematicamente su tutti i blocchi o lasciare molto più scoperta l’area anche contro grandi attaccanti pur di non far entrare in ritmo gli avversari da dietro l’arco.

Il tiro da tre è stato introdotto nella stagione 1979-80 ma il suo utilizzo inizialmente è stato piuttosto contenuto: secondo basketballreference.com le 22 squadre allora presenti hanno tirato in media 227.4 triple in tutta la stagione (2.77 a partita) segnandone solo 63.7 (0.77 a partita), convertite quindi con il 28%. Solo 4 squadre hanno tirato più di 300 volte da dietro l’arco e, a dimostrazione di quanto poco fosse influente appena introdotto, i Los Angeles Lakers campioni di quell’anno arrivarono solo a quota 100 (penultimi per numero di tentativi).

Analizziamo la sua evoluzione nel corso delle stagioni successive, raggruppate visto l’enorme mole di dati per decenni (dati sempre via basketballreference.com) e facendo sempre la media tra tutte le franchigie partecipanti:

– 1980/81-1989/90: in media ogni squadra ha tirato 319.6 tiri da tre punti a stagione (3.90 a partita) segnandone 95.2 (1.16 a partita), convertiti quindi con il 29.8%. 2 su 27 hanno tirato meno di 3 triple a partita e 7 su 27 ne hanno segnata meno di 1 ad allacciata di scarpe.
– 1990/91-1999/2000: i numeri cominciano decisamente a cambiare visto che in media ogni squadra ha tirato 958.4 tiri da tre punti a stagione (12.61 a partita) segnandone 334.2 (4.40 a partita), convertiti quindi con il 34.9%. Il suo utilizzo però non è ancora così determinante o di importanza statistica rilevante visto che abbiamo sia Houston, campione nel 94 e nel 95, che ne tira 17.6 a partita andando decisamente oltre media e sia Utah, squadra con il maggior numero di vittorie nel periodo considerato, che ne tira solo 8.2 a partita.
– 2000/01-2009-10: si sale ancora con 1322.8 triple tirate di media da ogni squadra (16.13 a partita) e 471.4 segnate (5.75 a partita) per una percentuale del 35.63%. Utah ancora la squadra che ne ha tirate di meno (sotto le 1000 stagionali), mentre la Houston di Daryl Morey (ma dai!) e la Phoenix di Mike D’Antoni (ma dai!!) sono quelle che ne hanno tirate di più.
– 2010/11-2017/18: si arriva ai giorni nostri e i numeri schizzano alle stelle, essendo state tirate già oltre 40.000 triple in più rispetto al decennio precedente nonostante manchino ancora due anni alla fine di questo. Ogni squadra ha tirato in media 1812 tiri da tre punti a stagione (22.10 a partita) e ne ha segnate 646 (7.88 a partita) per una percentuale del 35.65%. Houston supera le 30 triple a partita, altre 4 franchigie superano le 25 e Memphis che è ultima per tiri da tre tentati ne tira 16.95, comunque più della media del decennio precedente.

Tra tutte spicca la stagione appena conclusa, nella quale le triple di media per squadra sono state oltre 29 e Houston ha superato le 42, arrivando a tirare più tiri da tre punti rispetto a quelli da due. Harden con oltre 10 triple a partite (come la media per franchigia nel 1994) ha raggiunto quota 722 totali, cifra che mai nessuna squadra nei primi 10 anni dall’introduzione del tiro da tre punti aveva mai raggiunto.

La “follia” a nome Steph Curry

Se il pioniere dello “Small Ball” è stato Don Nelson poi sono arrivati altri adepti del “giocare piccolo” alla ricerca continuativa del tiro da tre punti, come Mike D’Antoni con il suo “7 seconds or less”, con risultati più o meno soddisfacenti. A sfatare il mito però che non si potesse vincere con questa filosofia di gioco sono arrivati i Golden State Warriors e in particolare Steph Curry che, dopo qualche avvisaglia nelle stagioni 2013/14 e 2014/15, nel 2015/16 ha deciso di esplodere come una mina a orologeria stravolgendo tutte quelle che erano le certezze del Gioco, rendendo giusto tutto quello che fino a quel momento era considerato sbagliato (tiri senza ritmo, senza equilibrio, senza aver mosso la difesa, dal logo ecc.).

In quella stagione il prodotto di Davidson ha messo a segno la cifra folle di 402 triple (record assoluto… per non farsi mancare niente Steph detiene anche il secondo, terzo e quinto posto) su 886 tentativi (5.1 a segno su 11.2 a partita!), arrivando contro OKC a pareggiare il record di Kobe Bryant e Donyell Marshall di 12 tiri da tre in una singola partita (su 19 tentativi). Non contento la stagione successiva contro i Pelicans ne mise a segno 13 (su 17) prendendosi il record in solitaria.

Ormai con Steph non c’è più nulla di cui meravigliarsi. In mezzo alle gambe, dietro la schiena e step back. Easy!

Curry è una minaccia tale che in transizione Williams e Collison si accoppiano entrambi con lui per non concedergli il tiro da tre lasciandolo però a uno del calibro di Klay Thompson che con quella tripla prenderà il ritmo per poter mettere i famosi 37 punti in un solo quarto. Da notare come anni fa sarebbe stato impensabile prendere 2 contro 2 quel tiro da tre senza rimbalzisti invece di andare a cercare due punti più facili al ferro.

Le 726 triple segnate da Curry nelle due stagioni 2015/16 e 2016/17 sono lo stesso numero di quelle segnate in tutta la carriera dal suo attuale allenatore, Steve Kerr, uno dei più grandi tiratori di sempre (1° per percentuale in carriera, 45.4%). Per intenderci, un altro grandissimo della materia come Larry Bird ne ha segnate 649 in carriera.

La sua sola presenza in campo costringe ogni singola squadra a cambiare tutti i piani difensivi, confermando e supportando l’assunto che fa da incipit a questo pezzo. Dopo la partita folle con OKC, Twitter prese fuoco. Ecco, via ultimouomo.com, alcune delle reazioni al riguardo, tra cui quella del Re:

“Pace and space” & “7 seconds or less”

Abbiamo anche analizzato la progressione della percentuale effettiva dal campo (eFG%, che da più valore al tiro da tre punti), il ritmo delle partite (pace, quanti possessi vengono giocati) e in percentuale quanti tiri da tre vengono tentati (3PAr, rapporto tra il numero delle triple tentate e i tiri totali).

I dati sul pace sono stati presi per questioni di uniformità da basketballreference.com nonostante la sua definizione data dal sito sia leggermente diversa (con conseguente presa in considerazione di un numero di possessi diverso) rispetto a nba.com che però fornisce i dati solo dalla stagione 1996-97.

– 1979/80: eFG% 48.6%, pace 103.1 possessi, 3PAr 3.1%.
– 80’s: eFG% 49.1%, pace 101.0 possessi, 3PAr 4.37%.
– 90’s: eFG% 48.7%, pace 93.6 possessi, 3PAr 14.84%.
– 00’s: eFG% 48.6%, pace 91.3 possessi, 3PAr 20.00%.
10’s: eFG% 50.2%, pace 94.1 possessi, 3PAr 26.94%.

La tendenza è ben evidente e pressochè continua a parte un assestamento nel 1998-99, anni in cui il pace è sceso sotto quota 90 possessi a partita. Negli ultimi tre anni il 31.2% dei tiri sono stati da tre punti e Houston nel 2016/17 ha avuto un 3PAr del 46.2%, presto dimenticato dal pazzesco 50.2% del 2017/18 (più tiri da dietro che l’arco che all’interno dell’area per tutta la stagione).

A fronte di un sostanziale equilibrio nella percentuale effettiva dal campo, aumentata in modo considerevole solo negli ultimi anni (51.4% nel 2016/17 e 52.1% nel 2017/18) e del più che evidente cambiamento nell’utilizzo del tiro da tre punti, già chiaro con i dati forniti prima e ora con il grafico, il dato più curioso è quello sul pace: dagli anni 60 in cui si raggiungevano anche pace di oltre 130 possessi a partita, il ritmo si è via via abbassato fino a una risalita sempre più marcata nell’ultimo decennio (in particolare negli ultimi tre anni il pace è stato in media di 96.5 possessi a partita). Correre tanto però non è sempre sinonimo di vittorie, visto che le tre squadre che hanno corso maggiormente negli ultimi anni sono state New Orleans, Brooklyn (sigh!) e Sacramento (strasigh!).

La filosofia “pace and space” evidenzia la necessità di controllare il ritmo alla ricerca delle migliori spaziature per tiri ad alta percentuale, rendendo vana se non fallace l’idea di tirare tanto da tre punti senza che ci sia un razionale dietro a livello di costruzione del tiro (cosa concessa solamente, ognitanto, a Curry).

Dopo la granitica difesa di Iguodala, Harden scarica il pallone sul perimetro, Chris Paul penetra battendo il recupero e con altri due extrapass le rotazioni difensive degli Warriors non possono più coprire su Gordon che può comodamente tirare da tre. La chiave è stata muovere il pallone, prendere decisioni veloci e soprattutto avere la corretta spaziatura in campo.

Un’altra filosofia già nominata e resa celebre da Mike D’Antoni con i Phoenix Suns è stata quella del “7 seconds or less”, ovvero sia la ricerca del tiro migliore nel minor tempo possibile per impedire alla difesa di accoppiarsi adeguatamente. I dati forniti da nba.com prendono in considerazione solo gli ultimi 5 anni e i tiri presi nei primi 9 secondi dell’azione.

– 2013/14: 13.56 canestri segnati su 25.02 tentati (frequenza del 31.09%).
– 2014/15: 13.68 canestri segnati su 25.65 tentati (frequenza del 32.49%).
– 2015/16: 13.44 canestri segnati su 25.20 tentati (frequenza del 31.59%).
– 2016/17: 14.94 canestri segnati su 28.23 tentati (frequenza del 34.92%).
2017/18: 16.29 canestri segnati su 30.81 tentati (frequenza del 37.98%).

In soli 5 anni quasi 6 tentativi di media in più a partita per franchigia sono entro i primi 9 secondi dell’azione.

Stretch 4 & Stretch 5

La necessità di avere lunghi che aprissero il campo (to stretch) migliorando sensibilmente le spaziature ha dato vita allo Stretch 4 prima fino al sempre più estremo Stretch 5, un lungo considerato dalle difese una minaccia da tre punti e che fosse in grado di cambiare con efficacia sui blocchi per limitare i pull-up jumper (palleggio, arresto e tiro) da tre punti degli avversari, arma usata sempre più spesso dalle guardie NBA rendendo sempre più rari quei giocatori senza range di tiro contro cui puoi difendere passando sotto i blocchi.

Se negli anni passati esempi come Magic Johnson o Grant Hill erano piuttosto rari, di recente queste figure sono diventate sempre più comuni, liberando i quintetti da vincoli come schemi e posizioni (A positionless Game), arrivando addirittura a lunghi definiti Playmaking 4 e Playmaking 5 quali Draymond Green per Golden State o Al Horford nella 5 Out Motion Offense di Stevens: oltre a saper tirare da tre punti e a cambiare sui blocchi sono in grado di portare palla, smazzare assist e prendere decisioni per innescare tutte le opzioni offensive che un quintetto piccolo può sfruttare, quali vorticosi tagli e misdirections, “penetra e scarica”, blocchi ciechi e la pericolosità dei tiratori lontano dalla palla che con la loro sola presenza cambiano la geografia di un attacco e le scelte di una difesa, sintomo di come non sia necessario toccare la palla per avere impatto sulla partita (tornando di nuovo all’inizio dell’articolo).

Horford riceve la palla al gomito, Irving e Tatum fintano di bloccare l’uno con l’altro e con una misdirections forzano il cambio. I Celtics muovono benissimo il pallone facendolo entrare e uscire dall’area per ben due volte e con due extra-pass rinunciano a due buoni tiri per costruirne un terzo ancora migliore di Tatum, imbeccato guarda caso proprio dal “penetra e scarica” di Horford.

Prendendo come riferimento sempre i decenni utilizzati precedentemente, vediamo tra tutti i giocatori che hanno giocato almeno una stagione nel ruolo di centro (secondo basketballreference.com) quante triple totali sono state segnate:

– 80’s: 522 triple su 2448 provate da 117 centri (21.3%), solo 8 hanno segnato più di 10 tiri da tre punti totali in 11 anni (considerando anche l’annata 1979-80).
– 90’s: 767 triple su 3080 provate da 120 centri (24.9%).
– 00’s: 1397 triple su 4381 provate da 118 centri (31.8%).
– 10’s: 4540 triple su 12192 provate da 104 centri (34.4%), in 5 hanno segnato almeno più di 1 tripla a partita.

Anche in questo caso, oltre all’evidente aumento esponenziale del numero di tentativi negli ultimi anni, balza all’occhio anche il continuo aumento nella percentuale di realizzazione, comparabile a quella dei piccoli.

Il progressivo abbandono del post-up e del mid-range

L’evoluzione di playmaking (e di tiro) dei lunghi, l’aumentata capacità di tirare dal palleggio (anche se non soprattutto da tre punti) e lo spostamento del gioco più verso il perimetro ha portato ad aree sempre più libere, ad aiuti e recuperi delle difese sempre più difficili e ad una costante analisi nella selezione del tiro a più alta percentuale. La penetrazione all’interno di un’area sempre più vuota porta le difese anche a collassare sul penetratore, lasciando poi libero il perimetro per tiri da tre punti wide open.

Ciò si è tradotto, via nba.com sulla base degli ultimi 5 anni, in sempre più tiri in palleggio arresto e tiro (pull-ups), sugli scarichi (catch and shoot) e al ferro in penetrazione (drives) e sempre meno tiri in post basso (post-ups) nonostante un progressivo aumento del numero di possessi nelle ultime stagioni. Il gioco in post è sempre più usato in funzione di uno scarico sul perimetro piuttosto che di una conclusione diretta a canestro.

Golden State negli ultimi tre anni è stata sempre top-2 per tiri in catch and shoot, uno dei più frequenti della Lega, sia a livello di frequenza che a livello di percentuale.

Relativamente alle zone di tiro, oltre all’aumento sensibile delle conclusioni dall’arco visto all’inizio, è ormai più che una tendenza anche l’abbandono del tiro dal mid-range e del long-two, una conclusione di scarsa efficacia e che le difese sempre più concedono volentieri. I dati sulle conclusioni dal mid-range, via nba.com, partono dalla stagione 1996/97.

Dopo che, a cavallo degli anni 2000, il trend è rimasto più o meno costante, a inizio del decennio scorso il numero medio di tiri dal mid-range delle squadre è andato sempre in calando fino a raggiungere il minimo storico nella stagione passata. I Rockets, sempre in prima linea in questo tipo di statistiche, sono stati sotto i 10 tiri tentati dal mid-range a partita 4 volte nelle ultime 5 stagioni, arrivando a 7.1 nel 2016/17 e 6.9 nel 2017/18.

La scelta è più che scontata se, come fanno ormai in maniera massiva tutte le franchigie, si analizzano i dati: i tiri dal mid-range sono sempre stati segnati con una percentuale che si è aggirata intorno al 39-40%, mentre i tiri da tre punti negli ultimi 20 anni sono stati segnati con una percentuale intorno al 35%. Su 10 tiri, dal mid-range si arriva a fatica a 8 punti, da tre punti si arriva a 10.5 (motivo per cui ha molto più senso la percentuale effettiva dal campo, che da più valore al tiro da tre, piuttosto che quella standard) per una differenza già di 2.5 punti, un’enormità su una mole così bassa di tiri.

Anche i tiri al ferro, considerati insieme a quelli dall’arco i più pregiati e a maggior rendimento, sono man mano aumentati (14.21 segnati su 23.07 tentativi di media a inizio millennio, 17.15 su 27.18 nella stagione passata).

Spurs, altra squadra che ha fatto del “ball movement” un mantra: tutti toccano il pallone che si muove come in un flipper, continui “penetra e scarica”, vengono rifiutati un gioco in post da Diaw e due jumper dal mid-range da West per arrivare a un comodo lay-up al ferro da parte di Mills. E questo era il “secondo quintetto” guidato dall’ahimè appena ritirato Manu Gìnobili.

Il cambiamento avvenuto in questi ultimi è innegabile e suffragato da tutti i dati e le considerazione fatte. Che si tratti di addetti ai lavori, interni o meno alla Lega, o di semplici tifosi in molti criticano o vedono con occhio sospetto questa nuova era del basket NBA, lamentando una mancanza di fisicità e tecnica rispetto al passato oscurata dall’uso smodato del tiro da tre punti e dal dilagante atletismo dei giocatori odierni.

Un allargamento del campo con conseguente aumento della distanza del tiro da tre, come tanti propongono da qualche anno per limitare questo tipo di gioco, a mio avviso renderebbe il tutto ancora più esacerbato poichè con gli atleti di oggi (in grado per altro di tirare comunque con facilità dagli 8 metri) sarebbe ancora più difficile per la difesa chiudere l’area, aiutare sulle penetrazioni (considerando anche i tre secondi difensivi) e con i “penetra e scarica” recuperare sul perimetro lasciando ancora più comodi tiri dall’arco.

Detto che è un parere personale e che ognuno ha la propria legittima idea in merito, basata su un gusto personale, penso sia un tipo di pallacanestro esaltante e per niente inferiore a quella del passato e che questa componente a cui tutte le squadre debbano adeguarsi sia semplicemente da accettare come parte del Gioco e che siamo comunque fortunati a poter godere dello spettacolo che i vari Steph, LeBron e co. ci regalano ogni giorno durante la stagione.

Perchè, come diceva Bob Dylan

“Come mothers and fathers
Throughout the land
And don’t criticize
What you can’t understand
Your sons and your daughters
Are beyond your command
Your old road is
Rapidly agin’.
Please get out of the new one
If you can’t lend your hand
For the times they are a-changin’.

Michele Manzini

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