Vince Carter: “Half-man,half-amazing”

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Vince Carter

Vince se n’è andato, probabilmente non torna.
Suo figlio, Vince Jr., faceva ancora la seconda elementare. La madre Michelle era insegnante, come il suo nuovo compagno, Harry.
Se mettete Vince Sr. e Harry nella stessa stanza, e chiedete a Vince Jr. “Who’s daddy?”, il dito indicherà sempre Harry.
Sì, perché Harry Robinson da lì in avanti sarà la figura paterna di Vince, e non un Vince qualsiasi: sarà il padre di Air Canada.
Vince Lamont Carter Jr. nacque a Daytona Beach, Florida, il 26 Gennaio 1977. Col suo padre naturale non avrà più contatti, solo qualche parola in futuro.
Daytona Beach non è sicuramente famosa per la pallacanestro: tra le spiagge interminabili e gli alligatori, sorge il Daytona International Speedway. A fine febbraio 200.000 persone (esatto, 2/5 di un milione) raggiungono il circuito per assistere a interminabili giri circolari e incidenti continui. “It’s NASCAR baby”, il Daytona 500.
Daytona è anche famosa per lo Spring-Break. Dall’altra parte dell’oceano il corrispettivo delle vacanze di Pasqua all’università si trascorre tra erotismo sfrenato e senza riguardo, droga e coma etilico. Negli States puoi guidare dai 16 anni, ma puoi bere dai 21, e nonostante questo qualcuno che ci rimette la pelle per qualche drink di troppo c’è sempre.
Alcool a fiumi, poi chi sopravvive torna sui libri, ma torniamo a Vince.

Aveva una predispozione pazzesca per la pallacanestro sin da quando aveva due anni. Il suo idolo di infanzia, probabilmente, è condiviso con molti altri cestisti o appassionati: Julius Erving.
Ammirava il Doctor J come tutti i suoi coetanei ammiravano i supereroi, ma al campetto non puoi imitare Batman: nei playground Vince si immaginava coi capelli afro e la canotta 76ers, imitando qualsiasi movimento possibile del suo idolo, con annessi cerotti e medicazione di mamma Michelle.
I movimenti di Vince era talmente “selvaggi” che da piccolo i suoi amici lo soprannominarono UFO. I suoi genitori cercavano però di fargli trovare un nuovo modo per esprimere la sua creatività: ne aveva di talento Vince, ma la strada della palla a spicchi non è sempre semplicissima.
Papà (non biologico) Harry era un capobanda, e provò a spingere il ragazzo nella direzione musicale: sassofono, trombetta, batteria, quello che capitava.
Ciò che l’estremamente energico “UFO” prediligeva era senza dubbio la batteria, unico strumento in cui la sua energia poteva essere effettivamente scaricata.
Divenne presto il tamburo principale della banda del padre, quello che dettava il ritmo nelle parate.
Ma il futuro di Vince doveva essere diverso.
All’età di undici anni passava più tempo nel playground piuttosto che a studiare, e la sua altezza aumentava, tanto che è proprio a quell’età che avvenne uno dei passi più importanti della sua vita, forse il più fondamentale per diventare Air Canada: Vince toccò il ferro. Saltando, quasi per scherzo, aveva esaudito uno dei più grandi sogni dei ragazzini con la palla in mano
L’anno successivo la strada era spianata. Tutta Daytona accorreva intorno al campo per vedere le schiacciate di quel 12enne, tamburo della banda del padre, “dunker” terribilmente precoce.
Il ragazzo però non sapeva solo schiacciare, vedeva i compagni e si muoveva sul campo in maniera decisamente singolare. Giocava sempre con ragazzi più grandi, sempre, e la folla aumentava di volta in volta. (Tra quella folla c’era anche Oliver Lee, zio di Vince, ex-stella di Marquette draftato dai Bulls nel 1981),
Se a undici anni i libri erano un’optional, al liceo la invece situazione cambiò.
I genitori decisero di incoraggiare la pallacanestro del giovane Vince, che durante le High School (Daytona Beach’s Mainland High School) apprese una lezione importante: “If you wanna play, you must study”. Se vuoi giocare devi studiare, non hai scelta. Non soprende che il ragazzo si fiondò sui libri, quasi a recuperare il tempo perduto inventando basket da bambino.
Da quel punto di vista era cambiato rispetto giovane età. Ma sul campo, non cambiò affatto.
Era il suo primo anno, 1991-1992. Data il suo strapotere cestistico, non c’era squadra che non ordinasse il raddoppio nei suoi confronti: era semplicemente indomabile, non solo nel trovare il fondo della retina, ma anche nel far muovere la palla e con essa la squadra.
Se il primo passo fondamentale per diventare Air Canada lo compì a undici anni, il secondo avvenne proprio nel suo anno da freshman.
Durante una partita, stanco dell’ennessimo raddoppio, decise di ignorarlo. Continuò la corsa verso il canestro come un bufalo in carica. Ma, forse a causa della pressione, forse a causa della poca lucidità mentale in quel momento, staccò il piede del terzo tempo troppo presto.
Le alternative, in quei millesimi di secondo, danzavano nella mente di Vince: finger roll? Appoggio semplice? Scarico?
Poi l’incredibile: lui si alzava, e si alzava, e i difensori restavano giù. Prese allora la più improbabile delle decisioni, e tirò giù una schiacciata epocale, talmente epocale che gli arbitri dovettero ricordare agli altri nove che c’era una partita in corso, da quanto essi ne rimasero scioccati.
Con buona pace degli avversari che dovevano andare avanti a difendere su quel mostro.
Non credo che quello che fece quel pomeriggio sia spiegabile mediante delle semplice parole. Semplicemente immaginate vostro fratello di quattordici anni che posterizza tre difensori saltando da quasi la lunetta.
L’epopea cestistica di “Vinsanity” era appena cominciata. Guidò i suoi Bucaaneers nei massimi tornei della nazione, poi dovette prendere la scelta dell’università. A malincuore lasciò la Florida per Chapel Hill, ma questo lo vedremo più avanti…

Come già ribadito in precedenza la storia di Vincent Lamar “Vince” Carter iniziò venerdì 26 gennaio 1977 a Daytona Beach,patria del football americano ma conosciuta agli occhi di tutto il mondo per la celebre gara delle “500 miglia” appartenente al campionato Nascar. Il piccolo Vince fin da subito  ebbe le idee chiare: doveva sfondare nel mondo dello sport professionistico. Tuttavia mamma Michelle si dimostrò titubante riguardo il futuro del figlio,che,oltre ad essere membro della squadra di pallacanestro della scuola,la Mainland High School,faceva parte della banda locale,infatti imparò a suonare benissimo strumenti come il sassofono e la tromba tanto da ricevere un’offerta,proveniente dalla Bethune-Coockman University, per entrare nel loro college e quindi scegliere di diventare un musicista (opzione desiderata fortemente dalla signora Michelle).

Per nostra fortuna,non fu l’unica offerta che ricevette il nativo di Daytona Beach.  Dean Smith, famoso talent scout della Florida, notò il talento del ragazzo ad un torneo a livello regionale e rimase estasiato dalla sua dinamicità,tanto da offrirgli una borsa di studio per entrare nella sua prestigiosa università,che poteva vantare di aver accolto il miglior giocatore di tutti i tempi a detta di tutta la critica, un tale Michael Jeffrey Jordan…

La famiglia ed il giovane “Vince” accettarono la proposta arrivata North Carolina University,non senza alcune titubanze per via della lontananza da casa.

Tuttavia,la stagione da Freshman fu frustrante per lui,data la regola ferrea di coach Smith ,contrario all’utilizzo di giocatori al primo anno. La sua prima stagione si chiuse con numeri tutt’altro che esaltanti: 7.5 punti, 1.3 assist e 3.8 rimbalzi. I pochi minuti (17.9),lo convinsero a mettere in dubbio la sua permanenza a Chapel Hill,considerando sempre di più l’opzione del ritorno a casa,nella sua Florida, mai più rivista prima di approdare in NBA.

La stagione seguente vide le sue stats aumentare fino a 27.5’ a gara e gli permise di chiudere con 13 punti, 2.4 assist,4.5 rimbalzi di media. Inserito nel terzo quintetto della ACC (la conference dove milita North Carolina),contribuì a dare una grossa mano ai Tar Heels per raggiungere il più grande obbiettivo cestistico a livello collegiale,le Final Four NCAA. L’estate ’97  segnò drasticamente la carriera del giovane Vince: coach Smith diede le sue dimissioni e subentrò a lui il suo assistente: Bill Guthridge, caratterizzato da un rapporto più aperto con i nuovi elementi del roster. La stagione si rivelò positiva per Vincredible che in 31 minuti di utilizzo registrò una media di 15.6 punti, 1.9 assist e 5.1 rimbalzi,riuscendo a portare per la seconda volta consecutiva North Carolina alle Final Four. Venne nominato nel Primo quintetto della ACC e nel secondo quintetto All-American (i migliori universitari di tutto il paese). Il nativo di Daytona Beach capì che era arrivato il suo momento,l’approdo tra i PRO,nel campionato più importante del mondo,l’NBA.

Fu scelto alla numero 5 da Golden State,ma in California non mise mai piede,dato che fu girato pochi giorni dopo ai Toronto Raptors,in cambio della chiamata numero 4 al Draft,ovvero Antawn Jamison (suo ex compagno di squadra a NCU). Approdò in Canada nella stagione del lockout e nel mini training camp ebbe modo di conoscere un ragazzo che lui fin dal primo momento considerò un vero amico: Tracy Lamar McGrady, la storia che lo lega all’ex star di Orlando e di Toronto è a dir poco incredibile, pochi anni dopo scopriranno di essere cugini di terzo grado.

Nel suo anno da Rookie,non dovendo dimostrare niente a nessuno,iniziò piuttosto in sordina,salvo poi riprendersi nella parte finale della stagione, venendo addirittura considerato per il ROTY Award con un run-in negli ultimi mesi. Complice anche la stessa università,Carter venne paragonato ad un mostro sacro come Michael Jordan (venne messo sullo stesso gradino di Sua Maestà anche per le notevoli schiacciate al ferro. L’annata si chiude alla stragrande: 18.3 punti, 3 assists e 5.7 rimbalzi e premio di ROTY in bacheca.

La stagione 1999-‘00,fu per Carter quella dell’esplosione definitiva: a livello individuale fece registrare cifre assurde per un Sophomore,chiudendo con una media di 25.7 punti,3.9 assist e 5.5 rimbalzi e portò i Raptors alla postseason,venendo eliminato al primo turno per mano dei New York Knicks. Venne subito etichettato come showman,grazie alla straordinaria performance ottenuta nello Slam Dunk Contest (ritenuta da tutti la più bella edizione di sempre),che fece mandare in estasi tutto il pubblico presente alla Oracle Arena (ai tempi conosciuta come Oakland Arena),compresi giocatori ormai nell’élite NBA come Shaquille O’Neal (che lo soprannominerà “Half man – half amazing”) e Kevin Garnett,che filmò il momento rimanendo a bocca aperta ,e attori del calibro di Will Smith,che a fine gara disse: “Vince è un angelo,non è fisicamente possibile volare,ma lui ci riesce. Non credo ancora a quello che ho visto”. In quella medesima estate fu chiamato a difendere i colori del suo paese,gli Stati Uniti,ai Giochi Olimpici di Sidney,  dove vinse l’oro, chiudendo come miglior realizzatore per ben 5 volte su 8 con una media punti di 14.8. Memorabile nella finalissima contro la Francia la sua schiacciata dove saltò letteralmente sopra la testa di Frédérick Weis,centro di 218 cm.

Nel 2000-01 ripartì con una grinta pazzesca e,desideroso di riconfermarsi su livelli da All Star,chiuse la stagione registrando le sue statistiche migliori di tutta la carriera: 27.8 punti, 3.9 assist e 5.5 rimbalzi. Portò nuovamente i Raptors ai Play-Offs ma questa volta riuscì a eliminare i New York, che erano andati 2-1 nella serie, e arrivò al secondo turno,dove incontrò l’MVP in carica Allen Iverson. Fu una delle migliori serie di Playoffs dell’intera decade e si concluse solo all’ultima partita,ovvero Gara 7,con Carter che sbagliò il tiro da tre punti sulla sirena che avrebbe potuto far passare il turno ai suoi.

Le successive due stagione non furono un successo per il prodotto di North Carolina,nel 2001-‘02 fu vittima per la prima volta degli infortuni, giocò solo 60 partite con una media di 24.7 punti, 4 assist e 5.2 rimbalzi. L’infortunio al ginocchio sinistro gli fece perdere l’ultima parte di RS e gli interi PO,ma una notizia sconcertante e sinistra iniziò a circolare sui media: i Raptors giocavano meglio senza di lui. Come se non bastasse quella che doveva essere la stagione del riscatto, 2002-03, fu caratterizzata da continui problemi al ginocchio sinistro e Vince andò tre volte in lista infortunati disputando un totale di 43 partite e registrando cifre preoccupanti visto il rendimento tenuto negli anni precedenti: 20.6 punti, 3.3 assist e 4.4 rimbalzi.

Qualcosa era cambiato in Vince,che passò dall’essere un devastante swingman che faceva della fisicità e delle penetrazioni in area il suo piatto forte, a diventare una semplice guardia tiratrice che costruiva il suo successo sui tiri in sospensione,penetrando sempre di meno nel pitturato,per paura di ricadere in infortuni.

Nel 2003-04 tornò a giocare con frequenza e chiuse la stagione con buone cifre: 22.5 punti, 4.8 assist e 4.8 rimbalzi. Tuttavia,non riuscì a portare Toronto ai PO e per la prima volta accusò la dirigenza di non saper costruire una squadra da titolo,arrivando persino a chiedere la cessione.

Inizialmente i Raptors,reputando lo sfogo di Carter comprensibile per il mancato accesso ai Playoff,decisero di declinare tutte le offerte per il nativo di Daytona Beach,costringendolo di fatto a rimanere. A stagione in corso, però,le cose peggiorarono vistosamente,i tifosi erano stanchi delle notizie che uscivano sui giornali e scaricarono Carter,che finì in una trade con i Nets in cambio di Alonzo Mourning (successivamente tagliato), Aaron Williams, Eric Williams e due future chiamate al primo giro. Vince, finalmente libero da quello che per lui era diventato un incubo, rispose nel migliore dei modi,come dimostrano le sue cifre,passate da 15.9 punti, 3.1 assist e 3.3 rimbalzi e 1.25 palle rubate ottenute in Canada a quelle ottenute in maglia Nets: 27.5 punti, 4.7 assist,5.9 rimbalzi rimbalzi e 1.47 palle rubate). New Jersey si presentò ai Playoff come testa di serie numero 8 ad Est e venne eliminata con un secco 4-0 dai Miami Heat,capitanati da un campione come Shaquille O’Neal e da una futura superstar come Dwyane Wade.

Nella sua prima stagione completa in maglia Nets alzò il suo rendimento (24.2 punti, 4.3 assit e 5.8 rimbalzi),guidando insieme a Jason Kidd e Richard Jefferson New Jersey ad un’ottima stagione regolare,riportando la franchigia alla vittoria dell’Atlantic Division. I suoi numeri, come quelli dei grandi campioni, aumentarono nella post-season (29.6 punti, 7 rimbalzi, 5.6 assists),ma il cammino di New Jersey si fermò ancora una volta per mano dei Miami Heat (futuri Campioni NBA) con un 4-1.

Nel 2006-‘07 fece registrare la sua presenza in tutte le partite disputate dai Nets e con una media di utilizzo pari a 40 minuti ad incontro,registrando nuovamente ottime cifre: 25.2 punti, 4.8 assist e 6 rimbalzi a sera. Nell’ultima settimana di giugno decise di utilizzare la clausola presente nel suo contratto per diventare free-agent,decidendo inizialmente di ritornare in Florida,o ai Magic o,meglio ancora,ai Miami Heat freschi di titoli NBA. Tuttavia nessuna delle due squadre si fece avanti e così VC firmò un’estensione con New Jersey.

Il 2007-‘08 fu un anno difficile per Vincredible,che diminuì leggermente le sue cifre a 21.6 punti, 5.1 assist e 6 rimbalzi, sempre più condizionato dalle scelte (a dir poco ridicole) della società. I Nets cedettero Kidd in cambio di Devin Harris e firmarono Krstic e Magloire (che si riveleranno inutili),non riuscendo ad accedere ai PO.

Nel 2008-’09 Carter continua a registrare cifre individuali dignitose (20.8 punti,4.7 assist e 5.1 rimbalzi),ma non viene aiutato dalla squadra,che non può contare su un supporting cast degno di nota. Ciò significa niente PO per New Jersey e le voci tornarono a parlare  di un suo possibile ritorno in Florida. Inizialmente smentite dalla dirigenza dei Nets,le indiscrezioni trovarono conferma subito dopo le NBA Finals,quando la dirigenza  decise di spedirlo (insieme a Ryan Anderson) ai Magic come contropartita di Courtney Lee, Rafer Alston e Tony Battie. VC dichiarò subito le sue motivazioni: portare il titolo in Florida,a casa sua.

Il 2009-’10 si dimostrò per Carter significativo: ormai non era più la stella che aveva brillato nelle precedenti stagioni e le sue cifre ne sono la prova più evidente,infatti parlano di 16.6 punti,3.1 assist e 3.9 rimbalzi. Tuttavia,se sotto il profilo individuale non fu un successo per il nativo di Daytona Beach,dall’altro raccolse buoni risultati con la squadra,che si fermo sul più bello contro i Boston Celtics alle Finali di Conference,uscendo dai PO con un 4-2 dopo essere stati sotto anche 3-0.

Il 2010-’11 segnò un passo indietro nella carriera di Vinsanity, nuovamente ceduto a metà febbraio,ai Phoenix Suns  insieme a Mickaël Piétrus e Marcin Gortat, in cambio di Hidayet Türkoğlu, Jason Richardson ed Earl Clark. I Suns non si qualificarono ai PO e per Carter la stagione si rivelò amara anche a livello individuale: 14 punti,2 assist e 3.8 rimbalzi.

La stagione 2011-’12 fu subito scioccante per VC,che viene tagliato dalla franchigia dell’Arizona il 10 dicembre (stagione iniziata in ritardo per via del lockout). Tuttavia riesce a salvarsi, trova un accordo biennale con i Dallas Mavericks, Campioni NBA in carica. Ovviamente,viene considerata la terza/quarta opzione offensiva ed i suoi numeri ne risentono a fine stagione: 10.1 punti,2.3 assist e 3.4 rimbalzi. Dallas si qualifica ai PO,ma viene spedita a casa già al primo turno, con uno sweep pesantissimo dagli Oklahoma City Thunder, poi finalisti NBA.

Nell’estate 2012 i Mavericks decidono di rifondare,e non rifirmano né Jason Kidd, né Jason Terry. Decidono di ripartire con nuove leve che rispondono al nome di OJ Mayo, Darren Collison, Elton Brand e Chris Kaman e si affidano a Carter,Nowitzki e Marion per risollevare la squadra, ma i risultati sono tutt’altro che accettabili.

Dopo due anni di sostanziale anonimato l’ex Air Canada torna a livello di prestazioni nell’élite NBA, trascinando i suoi Mavs ai PO con l’ultima piazza disponibile, cedendo il passo ai San Antonio Spurs solamente a gara 7, dopo aver deciso gara 3 con un pazzesco buzzer-beater da oltre l’arco.

Inutile sottolineare che la storia di Vince Carter è segnata da tanti alti individuali e  altrettanti bassi a livello collettivo. Il suo apice l’ha raggiunto sicuramente dopo pochi anni tra i PRO con la maglia dei Raptors, mai più stati così vicini dal giocarsi il titolo. Molto probabilmente non verrà ricordato come un vincente dalle generazioni future, ma quanti grandi dello sport professionistico non lo sono stati?  Il suo limite coincide in parte con la sua grandezza, il suo seguito non l’ha ottenuto con delle vittorie ma con le prestazioni sul campo, a dir poco emotive e difficilmente cancellabili dalla mente di tutti gli appassionati della palla a spicchi.

 

Un particolare ringraziamento a Gabriele Buscaglia, autore dell’interessante prologo sull’infanzia del nativo di Daytona Beach.

 

Redazione BasketUniverso

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