Ieri è stato l’anniversario di una delle performance più famose e celebrate della storia della pallacanestro: il 2 Marzo 1962, infatti, Wilt Chamberlain segnava 100 punti ai New York Knicks, facendo registrare il record della NBA per punti messi a segno, ancora imbattuto, con il solo Kobe Bryant capace di avvicinarsi, restando comunque a 19 punti di distanza (81 contro i Toronto Raptors per Kobe).
Ovviamente, non solo la partita in se rimane nella mente e nel cuore degli appassionati. La foto di Wilt con in mano un foglio su cui è scritto il numero “100” è un must per chi segue il basket, soprattutto quello a stelle e strisce. Ma, senza sminuire la carriera e la performance di Chamberlain, cosa c’è dietro questa leggendaria partita? Noi riteniamo che sia molto interessante l’articolo pubblicato da Adam Fromal di Bleacher Report, in cui vengono svelati parecchi dettagli su quel match che potrebbero, per così dire, ridimensionarlo.
Innanzitutto, partiamo dagli avversari: i New York Knicks. I Philadelphia Warriors di Chamberlain si presentavano a questa partita con un record di 46-29, il centro era alla sua terza stagione nella NBA e già dominava, mentre i Knicks erano nella situazione opposta: 27-45, avrebbero chiuso con il penultimo record della stagione. Il centro titolare di New York all’epoca era Phil Jordon, non certo passato alla storia, anche per via della prematura morte all’età di 31 anni, quando ancora giocava. Quella famosa sera, però, Jordon era indisponibile, ufficialmente per via della febbre, in realtà si sarebbe scoperto solo successivamente che l’assenza fu dovuta alla sbronza della sera precedente.
In quintetto partì quindi Darrall Imhoff, terza scelta assoluta solo un paio di anni prima, che sarebbe poi stato anche All Star nel 1967. In realtà, anche Imhoff era tutt’altro che una stella: le medie in carriera parlano di 7.2 punti e 7.6 rimbalzi. In quella partita contro Philadelphia, Imhoff ebbe subito problemi di falli e si ridusse a giocare soltanto 20 minuti. Al suo posto, fu costretto a marcare Chamberlain un rookie, tale Cleveland Buckner, che in carriera giocò poi soltanto 68 partite in NBA a medie non proprio esaltanti, più, a rotazione, vari giocatori di altri ruoli, ovviamente in difficoltà contro il gigante dei Warriors vista la diversa stazza.
Esattamente come la foto con il foglio dei 100 punti, è divenuto famosissimo anche il foglio delle stats di quel match, con Chamberlain che spicca con 36 tiri messi a segno e un irreale 28/32 dalla lunetta, dal momento che in carriera tirava con il 51%. A questi 36 tiri presi non è però aggiunto il numero dei tiri tentati, che corrisponde a 63, come riportato da Donald Hunt di ESPN. Negli ultimi 30 anni di NBA, solo 20 volte un giocatore si è preso più di 40 tiri, e questa classifica comprende Kobe Bryant (46 tiri tentati per gli 81 punti contro i Raptors) e Michael Jordan (49 tentati contro i Magic). Come riuscì quindi Chamberlain a conquistarsi ben 63 tiri? Con l’aiuto dei compagni, come confermato dallo stesso Wilt, che facevano di tutto per farlo andare in tripla cifra, passandogli la palla “anche quando erano completamente liberi”. Chamberlain scrive così nella sua autobiografia dal titolo Wilt: “Penso di aver tirato davvero troppo spesso in quella partita, in particolare nel quarto quarto, quando tutti volevano farmi arrivare a quota 100”.
Al giorno d’oggi, prendersi 63 tiri non sarebbe possibile, nessuno lascerebbe che ciò accada, soprattutto se questo comportasse servire un compagno anche quando si avesse la possibilità di tirare liberamente.
Infine, la ciliegina sulla torta: il “dettaglio” che potrebbe gettare delle ombre sulla reale entità della partita di Chamberlain quella notte e il motivo per cui alcuni definiscono quel match “una farsa”. I Philadelphia Warriors spesero l’intero quarto periodo a commettere fallo sistematico per fermare il cronometro, ricevere subito la palla e servire Wilt il più velocemente possibile. Il coach dei Knicks di quell’anno definì così la partita: “Una farsa, noi facevamo fallo a loro e loro a noi”. Come già accennato in precedenza, Wilt andò il lunetta 32 volte quella sera, segnando 28 di queste: 87.5%, un dato incredibile per uno dei peggiori tiratori di liberi della Lega. Chamberlain, sempre nel proprio libro, commenta questo dato così: “Tutti possono essere fortunati”.
L’allenatore dei Warriors, coach Frank McGuire, scelse addirittura di schierare i propri ultimi panchinari nel quarto quarto con l’intento di spendere i loro falli e di conseguenza dare immediatamente palla a Chamberlain. Tutto e tutti volevano che il record venisse scolpito nella pietra, e così fu. Nella propria autobiografia però, Wilt non fa alcun riferimento a questa particolare tattica da parte della sua squadra, anzi: “I Knicks tenevano la palla quasi gli interi 24 secondi del possesso su richiesta del loro allenatore Donovan, per evitare che io catturassi i rimbalzi, segnassi e li umiliassi”.
Dopo tutti questi dettagli, che probabilmente tutti, o la maggior parte di voi, non conoscevano, rimane l’imponente prestazione di un gigante che ha fatto la storia di questo sport. Non un giocatore sopravvalutato, capace di scrivere record su record in una NBA ben lontana da quella di oggi. Forse, però, una partita troppo ingigantita, seppure rimanga impressionante e ormai non più ineguagliabile. La prossima volta che si parlerà della partita in cui Wilt Chamberlain andò in tripla cifra, bisognerà ricordare anche qualcosa in più del numero di punti messi a segno.
L’esempio che porta il giornalista al termine del proprio articolo è perfetto: “Se vi dicessi che un giocatore ieri ha fatto una tripla-doppia, voi direste che è stata un’ottima prestazione. Se aggiungessi che sono stati 10 punti, 10 rimbalzi e 10 assist, ma con 5/40 al tiro e 12 palle perse, non sarebbe una prestazione così ottima, no?”.
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