Passione e professionismo

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Il pallone rimbalza ed un bambino lo raccoglie sorridendo. Prova a tirare, piegandosi in maniera quasi innaturale per cercare la massima forza che ci si può mettere. Il pallone si stacca dalle manine e vola per un tempo troppo breve. Il canestro è così distante che a quell’età non si può raggiungere. Il pallone ricade ed il bambino corre di nuovo a raccoglierlo e sorride ancora mentre lo riprende. Poi prova e prova e prova ancora… 

Il pallone rimbalza sul parquet. Due mani lo afferrano sicure. Il corpo si piega e si stende come se fosse una molla. Il pallone sale, spinto da un’onda che come quelle del mare non si ferma finché la cresta non esaurisce la propria spinta. Una spinta che si trasferisce al pallone insieme alla giusta rotazione e la traiettoria ad arco si spegne dolcemente sul fondo della retina, come l’onda si spegne sulla spiaggia prima di ritrarsi verso il mare. Un ragazzo riprende il pallone e lo afferra con medesima decisione e ripete lo stesso gesto, in maniera pressoché perfetta e segna ancora. Poi ancora e ancora. Lo sguardo è attento, attento ai dettagli, a come afferrare la palla, a come estendere il proprio corpo. Forse dentro di sé è felice, ma da fuori uno spettatore occasionale potrebbe solo avvertire la sua concentrazione.

Il pallone rimbalza sul parquet, consegnato dall’arbitro al giocatore. 10.000 persone fischiano all’unisono, inveiscono e fanno un gran baccano. Un respiro, poi un altro. Il cronometro della partita segna 8 decimi al termine e il punteggio è in perfetta parità. Le mani cercano sulla palla i riferimenti di un gesto ripetuto milioni di volte sempre uguale. Il battito cardiaco è accelerato ancora, dopo l’iniziativa che ha portato a subire il fallo che ha condotto il giocatore in lunetta. Il sudore scende sul corpo, tra la calura dell’impianto e la tensione che si avverte palpabile in tutti i giocatori. Il tiro è il frutto di un lavoro di mesi e mentre la palla ruota in aria, più lentamente della sua velocità reale… i pensieri del tiratore sono carichi di aspettativa. Sorriderà, se la palla entrerà.

Quando si entra in una palestra dove lavorano delle squadre professionistiche, quello che balza agli occhi immediatamente è il contesto organizzativo. L’intensità del lavoro e l’attenzione affinché qualsiasi gestualità individuale o di squadra sia perfetta è assolutamente percepibile. Se una seduta di lavoro non è ancora iniziata, lo staff tecnico ne starà parlando, starà meticolosamente verificando i tempi di lavoro, i tempi di recupero e quanto ogni aspetto della seduta possa incidere sul rendimento di una squadra. Una buona pianificazione del lavoro, può migliorare il rendimento di un singolo giocatore o di una squadra e c’è perfetta consapevolezza di ciò.

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Ogni formazione passa per la ripetizione di un gesto. Ogni comprensione si crea vivendo situazioni analoghe più e più volte. La lettura di una statistica all’interno di una singola squadra, monitora il cambiamento in positivo in negativo di una prestazione, delinea le linee guida di un lavoro di alta qualità professionale, delibera le necessità che buoni professionisti cercano di curare per quelle che sono le priorità di un gruppo di lavoro. Questo vale non solo per la pallacanestro, ma per contesti aziendali che affrontano tematiche diverse dal punto di vista del rendimento e del profitto.

Ma nel Basket c’è anche altro. 

C’è quel bambino, che raccoglie il pallone e sorride.

C’è quel ragazzo, che pur di riuscire tira , tira e tira ancora.

C’è l’emozione della prima volta in cui si è fatto canestro, c’è la passione che cresce con la prima vittoria e con la prima sconfitta.

Ci sono i sacrifici fatti mentre molti coetanei vivono la spensieratezza e una passione insana ti porta a rimanere in palestra, spesso, tanto, quasi troppo…eppure non si potrebbe fare diversamente.

C’è ancora di più la forza della condivisione, la prima vittoria di squadra. Le volte in cui qualcosa ci fa star male ed i compagni sono lì, la volta in cui l’allenatore non ha capito e la volta in cui ti ha detto per la prima volta “Ben Fatto…”.

C’è tutto questo quando a pochi decimi dalla fine quel giocatore professionista, magari con uno stipendio molto alto, raccoglie la palla per quel tiro libero che conta così tanto.

Non ci sarà statistica nel suo animo, non ci sarà solo preparazione, anche se conteranno le ore di lavoro e quanto tutto sia stato preparato, dentro l’animo di quel giocatore sarà sempre presente il bambino che raccoglieva la palla, incapace di gettarla verso l’alto con forza, ma che ostinatamente ci provava e riprovava, con il sorriso della passione dipinto su quel volto.

A noi che lo alleniamo, precisi, maniacali, puntuali nel decidere ciò che è meglio e ciò che è peggio, il compito di ricordarlo e di tener viva la passione di quel bambino dentro la testa di quel giocatore. Per fare in modo che quando la palla lascia la sua mano, anche da adulto, sul viso di quell’uomo, non ci siano pensieri di professionalità, ma un contagioso e avvincente sorriso.

Marco Sodini

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