Coach Esposito: “In Italia per cultura sportiva siamo all’età della pietra”

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Nei giorni scorsi coach Vincenzo Esposito, timoniere della Giorgio Tesi Group Pistoia, è stato intervistato da Play.it USA

Ecco le sue parole:

Per prima cosa, vorrei chiederti: quanto segui il basket d’oltreoceano? C’è qualche squadra o qualche giocatore che ti interessa particolarmente?

esposito pistoiaIn verità, attualmente non sono un grande fan della NBA. Non la seguo assiduamente, ma mi tengo aggiornato in occasione di grandi eventi e situazioni particolari. Sono più appassionato al basket universitario e al campionato NCAA; mi interessa per via del mio lavoro ma anche per i differenti spunti tecnici che offre.

Una “situazione particolare” che sicuramente non ti sarà sfuggita è la cavalcata dei Golden State Warriors. Stanno attentando al record delle 70 vittorie in stagione e sembrano inarrestabili. Secondo te sono paragonabili a quella squadra, i Bulls di Jordan del 1996? Fin dove possono arrivare?

Ricordo bene quei Chicago Bulls, ho avuto il privilegio di affrontarli in prima persona, sul campo.Credo che i Warriors abbiano tutte le carte in regola per eguagliare quel record.

La squadra gioca molto bene, è ricca di talento e ha due giocatori incredibili che spiccano su tutti gli altri –Stephen Curry e Klay Thompson. Ma per il resto, rispetto a 20 anni fa è tutto cambiato e sarà difficile che ripetano una striscia di successi consecutivi come quei Bulls.

C’è un’economia diversa, gestione diversa e squadre diverse. Tendono a non esistere più le bandiere, la gestione delle superstar è problematica e le squadre cambiano spesso forma per ragioni contrattuali. Con queste condizioni è difficile mantenere la continuità.

Spostiamoci sulla NCAA. Un altro tema caldo è la formazione dei giovani giocatori, che forse diventano professionisti troppo presto. C’è chi sostiene che si punta troppo sul fisico trascurando i fondamentali. Tu, come allenatore, hai a che fare con giocatori appena usciti dalle Università. Hai notato questa tendenza?

È vero, ma è la pallacanestro che è cambiata. Non si tratta di una scelta o di una mancanza dei coach universitari, che fanno benissimo il loro lavoro.

Il basket NBA richiede dei superatleti e la formazione dei giovani rispecchia questa necessità. Lo si vede anche nel basket europeo, di riflesso, in particolare nei campionati nazionali. Soltanto ad altissimi livelli, quelli dell’Eurolega, si assiste a un basket diverso che premia maggiormente la tecnica.

Tra l’altro, puntare sull’atletismo è una scelta conveniente perché accorcia i tempi dello sviluppo di un giocatore; in questo modo diventa un professionista in tempi brevi, mentre per padroneggiare al meglio la tecnica avrebbe bisogno di più anni di lavoro.

Oltre all’atletismo esasperato, si punta sempre più sul tiro da 3 punti. È  vero, come sostengono alcuni, che “faccia male” al gioco? E a proposito di contatti tra il basket nostrano e quello americano, è possibile che questa tendenza sia stata influenzata proprio dalla pallacanestro europea?

I lunghi tecnici arrivati dall’Europa hanno sicuramente accelerato questa tendenza, perché offrono più opzioni tattiche rispetto ai giocatori di una volta.

Avere un 6’9 o un 6’10 che tira dall’arco è sicuramente molto diverso dallo schierare sul parquet un lungo come Ben Wallace o Dennis Rodman. In verità, non si tratta di un’innovazione così recente – un esempio fra tutti: Toni Kukoc che aveva un ruolo di tutto rispetto nei Bulls di Jordan – ma negli ultimi anni questa tipologia di giocatore ha avuto più successo, sulla scia di Dirk Nowitzki.

Ad ogni modo, si tratta semplicemente di mode che non devono preoccupare, ma a cui ci si deve adeguare. Adesso siamo nell’epoca dell’abuso del pick and roll, del tiro da 3 e dell’atletismo esasperato. Staremo a vedere, magari tra qualche anno tornerà il momento della Princeton Offense.

Coach Esposito si accerta che Preston Knowles conosca la corretta via per il canestro. Immagini: Marta Colombo Photography

Abbiamo accennato al fatto che l’NBA sta diventando sempre più internazionale. Tu che hai fatto da apripista per i giocatori italiani in America, come valuti la carriera dei vari Gallinari, Bargnani e Belinelli?

Hanno incontrato una situazione completamente differente dalla mia, una NBA più aperta al mondo, per questioni di marketing e business più che tecniche.

Venti anni fa non c’era internet e gli europei arrivavano come degli sconosciuti. Tutti e quattro meritavano la chiamata, anche Datome, ma hanno incontrato una gestione tecnica differente.

Rispetto all’Europa ci vuole più fortuna per emergere e avere successo perché l’aspetto del business è di primaria importanza e ci sono frequenti scambi.

Pensa a Belinelli: ha cambiato molte squadre passando da giocatore “non all’altezza” a elemento importante nel titolo degli Spurs. Ora è passato ai Kings quasi come una stella, con tanto di corona della gara del tiro da 3, ma è finito in una realtà di poco successo.

Anche Bargnani non ha avuto fortuna; forse non valeva una prima scelta assoluta ma è comunque un buonissimo giocatore.

Gallinari è il più duttile, il più adatto a giocare ad alto livello, ma anche per lui sarà cruciale la gestione tecnica, se Denver deciderà di scambiarlo o farne il giocatore-franchigia.

Per chiudere vorrei chiederti un’opinione su un tema delicato ma che reputo di particolare importanza. Parliamo di cultura sportiva. In America capita spesso di vedere due tifosi di squadre avversarie seduti accanto nelle arene, e c’è poi il tifo goliardico della NCAA. In Europa si vive più il senso d’appartenenza e la sfida; il supporto dei tifosi è spesso un valore aggiunto ma si porta dietro anche tanti problemi di ordine pubblico. Secondo te possiamo imparare qualcosa da ciò che accade oltreoceano?

Sono due mondi lontani anni luce. In America c’è una grande educazione sportiva che caratterizza l’approccio allo sport già a livello dilettantistico, dai ragazzini fino ai professionisti. Questo, purtroppo, da noi manca.

È anche una questione di senso civico; da noi spesso il tifoso va a palazzo per tifare contro l’avversario. A livello cestistico l’Europa si è avvicinata agli Stati Uniti con passi da gigante negli ultimi venti anni, ma per quanto riguarda l’educazione sportiva siamo rimasti davvero all’età della pietra. I regolamenti attualmente in vigore, poi, non aiutano a progredire.

Marco Fontanesi

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