Ben Gordon ha raccontato a The Players’ Tribune di essere stato sul punto di suicidarsi

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Da ormai oltre un anno il mondo NBA ripone un’attenzione particolare nella cosiddetta mental health, la salute mentale dei giocatori attuali e passati e, di riflesso, anche di tutti i tifosi che vi gravitano attorno. Da quando mesi fa fu Kevin Love il primo a parlare di attacchi di panico, numerosi sono stati gli atleti che si sono aperti, finalmente liberi di esprimere il proprio malessere senza timore di essere giudicati.

L’ultimo è stato Ben Gordon, sul celebre sito The Players’ Tribune (qui potete leggere l’articolo integrale, che consigliamo). Gordon è stato per diversi anni un comprimario di alto livello in NBA, soprattutto con la maglia dei Chicago Bulls, con i quali è arrivato a segnare anche 21.4 punti di media in una stagione e a vincere il premio di Sesto Uomo dell’Anno da rookie, finora l’unico a riuscirci nella storia. L’ex giocatore, ritirato ormai dal 2017, ha raccontato di come abbia più volte pensato addirittura al suicidio, arrivando anche a legarsi una corda attorno al collo sul punto di impiccarsi, negli ultimi anni: periodo nel quale, tra le altre cose, Gordon, che mai aveva avuto problemi comportamentali nei suoi trascorsi in NBA, è arrivato anche a farsi arrestare quattro volte nel giro di cinque mesi.

Tutto, racconta Gordon, è stato causato dalla fine della carriera da giocatore: “C’è stato un momento nel quale pensavo a uccidermi ogni giorno per circa sei settimane. Salivo sul tetto del mio condominio alle quattro di mattina, mi mettevo sul bordo del cornicione e guardavo giù. Mi spingevo avanti e indietro, pensando solo: ‘Sto per farlo, B. Sto per scappare da tutta questa m***a’. E’ successo proprio dopo il mio ultimo anno in NBA, e vivevo in un edificio ad Harlem. Avevo perso la mia carriera, la mia identità e la mia famiglia praticamente simultaneamente. Ero depresso. Non mangiavo. Non dormivo. E quando dico che non dormivo, sto parlando di un livello completamente superiore di insonnia. Ogni notte mi svegliavo alla stessa ora, come un orologio. E lì è quando vengono fuori i demoni. Quando sei sveglio tutta la notte, c’è silenzio e sei solo con i tuoi pensieri più profondi: lì è quando l’oscurità inizia a prendersi la tua intera psiche. […] Presi una di quelle corde per saltare, con l’elastico, e me la legai attorto al collo. Presi una sedia e mi impiccai, davvero. Scappare. Semplice. Sentivo le vene nella mia testa che stavano per scoppiare, lì è quando l’ho capito, all’improvviso. Non ci avevo mai pensato prima. Ehi, BG… Stai davvero per morire. Tu non vuoi morire. Non vuoi davvero suicidarti. Vuoi solo uccidere l’ansia. Vuoi vivere, B. Vuoi VIVERE, stupido figlio di p*****a. E’ meglio che ti salvi.

Gordon ha parlato approfonditamente di quel periodo e dello stato mentale che lo aveva portato lì: “Parte del problema era che non sapevo nemmeno che quello che stavo vivendo avesse un nome. Non sapevo che stessi avendo degli episodi. Qualcosa mi faceva scattare, di solito leggendo qualcosa sulla religione o sulle teorie del complotto riguardanti la spiritualità, e mi bloccavo. Avevo questa sorta di curiosità infantile verso l’inspiegabile. Il metafisico. Lo spirituale. Il mistico. E rimanevo lì come in un loop. Non c’era tempo. Non c’era spazio. Solo un milione e più di pensieri. Quindi ho iniziato ad attaccare tutti come fossi Kanye West. Attaccavo i miei amici con questi lunghi rant/flussi di coscienza perché quella era la mia terapia. Ero in un loop e non conoscevo terapisti, i miei amici erano i miei terapisti, no? Poi i loop si sono trasformati in insonnia, l’insonnia in paranoia, la paranoia in delusioni di grandezza. Adesso vengo cacciato dagli hotel per aver chiesto una stanza all’ultimo piano. God-complex shit. Ora le delusioni si trasformano in completi attacchi di panico. Per esempio, sto camminando vicino al termostato nella mia casa. C’è un indicatore che illumina il numero [dei gradi, ndr] mentre ci passi vicino. 72 gradi. Non riesco a non vederlo. Adesso sono nella prigione dei miei pensieri. BG, morirai all’età di 72 anni. Non posso non vederlo. I giorni passano. Adesso sono bipolare. Non dormo, ho scariche di energia. Sono concentrato. Sono spontaneo. Faccio quello che voglio. E’ ora di caricarsi. Quindi ora non dormo, la mia mente corre e il mio cervello inizia ad avere dei crolli. Ho le allucinazioni. Vedo m***a che non c’è. Sento voci. Sento come se dio mi stia parlando, come se provi a dirmi qualcosa. E’ qui che inizio ad attivare allarmi anti-incendio e m***a del genere. E’ qui che inizio a venire arrestato”. Episodio, quello dell’allarme anti-incendio, alla base di uno degli arresti di Gordon.

E proprio con gli arresti, e il conseguente obbligo a vedere un terapista, cosa che Gordon si era rifiutato di fare fino a quel momento. Non prima però di essere finito in un ospedale psichiatrico e aver vissuto con quasi due identità separate per un certo periodo: “E’ peggiorata a tal punto che mi hanno messo in un ospedale psichiatrico, e il problema era che non capissi perché lo stavano facendo. Era come nei film, in una stanza tutta bianca con i dottori e le infermiere che mi tenevano fermo sul letto. Avevano i camici e i guanti, mi bucavano le braccia con gli aghi e mi tagliavano i pantaloni all’altezza della vita. Era terrificante”. E poi ancora: “Chi è quel ragazzo con i capelli spettinati, quel ragazzo che se la svigna, quel ragazzo che legano al letto e a cui fanno le iniezioni? Voglio dire, la polizia non riesce nemmeno a riconoscerlo. Non sanno chi sia. Quello non è Ben Gordon. Quindi devo essere due persone diverse, no? Chi è Gentle Ben? Chi sono io? Ed è in quel momento che ho iniziato a dissociarmi completamente da Ben Gordon. Ero convinto di essere un clone, che il corpo in cui ero non fosse davvero il mio corpo. Non poteva esserlo. Il mio spirito era intrappolato all’interno del corpo di un clone. Creai un nome completamente diverso per questa persona. Avevo un indirizzo mail e un numero di telefono per questa persona. Mandavo email alle persone per dirgli che avevo un nuovo nome: ‘Ehi, sono davvero io. Non dirlo a nessuno!'”.

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E infine, come anticipato, la soluzione dopo l’ultimo arresto: L’unica cosa che mi ha salvato è stato essere arrestato, anche se può sembrare strano. Sono stato arrestato quattro volte in cinque mesi. Ero fuori di testa. Quindi il giudice mi ha obbligato a vedere un terapista per 18 mesi. Terapia, figlio di p*****a. In un primo momento, pensavo sarebbe stato inutile. Cosa può sapere di quel che sto passando una donna bianca più vecchia di me? Come potrebbe dirmi qualcosa? Non può dirmi NIENTE! Beh… Non lo ha fatto. Ha detto a malapena una parola in realtà. Ma io potevo sedermi sulla mia sedia e parlare della mia m***a. E sapete una cosa? E’ stato molto utile. Alla fine ho fatto 6 mesi extra di terapia, per mia scelta. Non perché fossi obbligato, ma perché pensavo: ‘Inizia a piacermi!'”. Problemi comunque non del tutto risolti, come spiegato nella chiosa finale dell’articolo di Gordon: “Ho avuto un periodo. Mi sono fatto aiutare. E ora conosco me stesso. Sto ancora lavorando su alcune cose, senza dubbio. Ci sono ancora dei traumi che non sono pronto a raccontare al mondo per il momento. Ma per me, è un inizio. Spero aiuti qualcuno, là fuori. Se ti ritrovi in questa storia, non fare come ho fatto io. Fatti aiutare. Perché non sei pazzo, amico. Non hai qualcosa che non va. Sei solo umano come tutti noi”.

Francesco Manzi

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