DeAndre Jordan ricorda il suo anno da rookie: il Latte Chai di Baron Davis, gli insegnamenti di Marcus Camby e Nick Collison

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China v United States - USA Basketball ShowcaseDeandre Jordan è giunto ormai al suo nono anno nella NBA: il centro nativo di Houston ha conquistato quest’anno la sua prima convocazione all’All-Star Game, dopo essere stato inserito per due anni di fila nell’All-Defensive First Team ed essersi affermato come miglior rimbalzista in entrambe le occasioni, entrando di diritto nella ristretta cerchia dei migliori centri della Lega. Forte della sua esperienza dopo quasi un decennio sui parquet NBA,  Jordan ha deciso di prendere sotto la sua ala protettrice il giovane Diamond Stone, prodotto della University of Maryland selezionato dai Pelicans con la 40esima scelta allo scorso Draft e spedito in California in cambio di Cheick Diallo. Lavorando con il rookie, Jordan ha avuto modo di ripensare al suo primo anno nella NBA, che ha raccontato in un lungo articolo sul The Player Tribune. Riguardo i “riti di iniziazione” riservati ai rookies, Jordan ha raccontato di come Baron Davis lo costringesse ad ordinargli il suo latte preferito al bar, spesso chiamandolo al telefono ad orari improponibili:

Mi chiamava ad ogni ora del giorno, e le sue chiamate erano sempre molto brevi: “Hey rookie. Vai a prendermi un Latte Chai alla vaniglia, con la soia. Non dimenticare la soia.” E poi click… era tutto lì. La prima volta, mi scrissi “latte chai alla vaniglia con la soia” per non rischiare di ordinare quello sbagliato. Tornai da lui molto soddisfatto, ma quando gli diedi il latte, Baron diede un sorso, mi guardò dritto negli occhi e buttò tutto nella spazzatura. Ho sempre pensato a cosa sarebbe successo se avessi fatto l’ordine sbagliato! Baron continuò a chiamarmi ogni pochi giorni. Stessa conversazione, stesso ordine. A volte beveva tutto, a volte lasciava il bicchiere ancora sigillato nel suo spogliatoio. La verità è che a Baron piaceva molto prendersi gioco di me e degli altri rookies, ma lo faceva perchè ci teneva. Dopo le partite era sempre il primo a dire “Bel lavoro in difesa” oppure “Bella partita“. Significava molto per me.

Oltre agli scherzi di Davis, Jordan ha parlato anche del bel rapporto tra lui e Marcus Camby, altro veterano dei Clippers ai tempi del suo primo anno:

Marcus Camby era un altro che adorava scherzare con me da rookie. E’ un grande amante delle ciambelle. Mi chiamava a tutte le ore, mi dava 100 dollari e mi mandava a prendergli tre ciabelle, sempre tre, e poi mi diceva di tenere il resto. Si è sempre preso cura di me nel mio anno da rookie. Ero un bambino. Alto e grosso, ma pur sempre un bambino, e lui lo sapeva bene. Un giorno durante una partita contro gli Spurs diedi il cambio a Marcus nel secondo quarto. Essendo originario del Texas, avevo sempre visto Tim Duncan come il mio idolo, ed ora ero in marcatura contro di lui. Ero molto agitato. Pensavo: “Sto giocando contro Tim Duncan. Devo provare a stoppargli un tiro, fare una bella giocata” e tutto il resto, ma Tim era davvero paziente nel pitturato. Ad un certo punto la palla arrivò a Duncan su uno scarico di Parker, ed io saltai ancora prima che potesse fare una finta di tiro. Venni rispedito in panchina e non rientrai fino al quarto quarto. Alla fine della gara, Camby mi si avvicinò scuotendo la testa. Ancora prima che iniziasse a parlare, gli dissi:  “Lo so, lo so, non avrei dovuto saltare.” Marcus, senza rispondermi, mi disse: “Qual è il movimento preferito di Tim Duncan?”. Risposi che non lo sapevo. E lui, sotto schock per la mia risposta: “Intendi dire che sei semplicemente entrato in campo e hai provato a indovinare?“.Mi aprì gli occhi. Da rookie non avevo mai pensato più di tanto a studiare il nostro prossimo avversario, ma Marcus mi incoraggiò a fare di più.

Jordan ha anche parlato di uno dei giocatori secondo lui più difficili da marcare, Nick Collison:

Le persone si soprendono sempre quando dico che uno dei giocatori più tosti che abbia mai marcato è Nick Collison. Ho sentito un sacco di centri dire che Shaq è il più duro da marcare, ed è la verità. Ma ho imparato di più giocando contro Collison. Mi ricordo di una volta che giocammo contro OKC e Nick entrò in campo. Venne dritto da me e mi disse: “Voglio solo farti sapere che il mio coach mi ha ordinato di non lasciarti nemmeno un rimbalzo.” E sorrise. Per il resto della serata non fece altro che tagliarmi fuori. Aveva una missione: impedirmi di prendere rimbalzi. Nick non è il più alto là fuori, ma gioca duro, è competitivo. Essere alti 2.11 aiuta nel prendere rimbalzi, ma non lo rende facile. Certo, ci sono volte in cui devo solo saltare e predere la palla. Ma giocatori come Nick sono là fuori ogni notte con l’unico obiettivo di rendere mediocre la mia prestazione. E’ una cosa che odi, ma impari a rispettarla.

Dopo tanto tempo, guardarsi indietro ha dato modo al giocatore dei Clippers di capire quanto questi anni in NBA lo abbiano fatto crescere, sia in campo che fuori:

Sono arrivato nella Lega che ero un bambino. Amavo giocare a basket e amavo tante altre cose oltre a questo. Se chiedeste a mia madre vi risponderebbe che sono ancora un bambino. La verità è che non sono la stessa persona che ero nove anni fa, e lavorando con Diamond me ne sono reso conto. Ho realizzato che sto facendo con lui quello che Marcus faceva con me. Quando Diamond ed io ci alleniamo insieme gli chiedo sempre: “D! Qual è lo schema “First up, two down” di questa squadra?” E lui mi risponde: come faccio a saperlo?”. Certe cose con cambiano mai.

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Ilaria Palmas

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