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Italia – Angola, l’analisi: gli Azzurri non convincono ma non c’è da preoccuparsi

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Sufficienza stiracchiata per l’Italia nella partita d’esordio ai Mondiali contro l’Angola. Di sicuro non la prestazione che ci si aspettava dagli Azzurri ma con un’analisi un po’ più approfondita si può convenire che si è trattato della classica partita stregata.

Partiamo dal presupposto che l’avversario a livello tecnico e tattico era di una pochezza disarmante. I punti forti dell’Angola, come sapevamo, sono la fisicità, la capacità di utilizzare il corpo e l’atletismo per prendere vantaggi, la difesa con le mani addosso. Tutte caratteristiche che l’Italia, per la conformazione del suo roster, tende a soffrire. Si è vista però un po’ di impreparazione, a livello mentale, a reagire all’aggressività angolana. Una constatazione bilanciata dal fatto che gli Azzurri, pur ritrovandosi sotto, hanno continuato a giocare la loro pallacanestro, dando comunque l’impressione di avere sempre la partita in mano. In un certo senso una prova di forza, dato che alcune versioni precedenti dell’Italbasket (non ci riferiamo a quelle allenate da Pozzecco o Sacchetti) si sarebbero probabilmente fatte prendere dalla foga di risolvere subito il match.

Italia Angola
Credits: FIBA

La difesa sul pick and roll

Normale e accettabile, dunque, soffrire le spinte e i body check duri degli angolani. Un po’ più preoccupante l’ingresso in campo abbastanza soft e soprattutto l’organizzazione della difesa sul pick and roll, di certo non il piatto forte sulla sponda angolana. Ci siamo un po’ incartati da soli: vista la caratura degli avversari non si avvertiva la necessità del cambio sistematico, una scelta apparsa un po’ troppo passiva e rinunciataria, anche perché coinvolgendo in tal senso Spissu o Spagnolo abbiamo regalato all’Angola un vantaggio che da soli difficilmente sarebbero riusciti a costruire. Ed è così che anche giocatori di P&R non sensazionali come Dundao e Domingos ci hanno messo in difficoltà, per fortuna gli attaccanti “sponde” non sono stati né efficaci né troppo coinvolti. Le cose sono migliorate nel secondo tempo, quando abbiamo iniziato ad alternare cambio e inseguimento. Ottime in tal senso posizionamento e letture di Pajola, capace spesso di spingere il palleggiatore “in bocca” al lungo, riuscendo a imbottigliarlo. Una strategia che probabilmente avrebbe pagato anche prima, viste le percentuali bassissime dell’Angola al tiro da fuori. L’unico a colpire è stato Dundao (tutte sue le 4 triple su 30 tentativi degli angolani), apparso comunque tutt’altro che un tiratore formidabile. Uno show accennato dei nostri lunghi su di lui sarebbe stato più che sufficiente a limitarlo. Apprezzabile comunque l’aggiustamento in corsa di cui sopra.

Italia Angola
Credits: FIBA

L’attacco

81 punti segnati contro una difesa fisica e tirando con il 16% da tre punti. Bastano questi numeri a far capire la potenza di fuoco dell’Italbasket. Fra le 31 triple tentate, quelle forzate si contano sulle dita di una mano e a referto ci sono 22 assist (9 in più degli avversari), segno del fatto che l’attacco azzurro è stato comunque di qualità. Semplicemente c’è stata una giornata storta al tiro da fuori. Le possibilità che si sia trattato di un caso sono alte, la paura che ci sia venuto il braccino appena iniziato a fare sul serio infondata, a meno che domenica non arrivi un altro indizio in tal senso. L’Italia fa registrare il 69% da due punti. Come interpretiamo questo dato? Capacità dei nostri lunghi di farsi trovare sugli scarichi ma soprattutto facilità disarmante nel battere l’avversario diretto in uno contro uno. Certo, la tecnica difensiva degli angolani non è da cineteca, la loro capacità di aiutare e ruotare ancora meno. Però hanno dovuto rispettare le nostre doti balistiche (seppur oggi non suffragate dalle percentuali) e così abbiamo sempre giocato con un campo larghissimo. Dovranno fare così tutte le difese, sempre che si cominci a segnare qualche canestro da dietro l’arco. Però diciamocelo chiaramente: l’Angola ha battezzato due giocatori come Ricci e Severini che l’anno scorso hanno chiuso con il 42,5% da tre punti, la scelta ha pagato perché hanno tirato 2/10 in coppia ma alla vigilia chi ci avrebbe scommesso? Se avessero avuto le loro consuete percentuali, staremmo commentando una partita finita dopo due quarti. Interessante la soluzione di stampo messiniano con Melli a superare la metà campo in palleggio. Non è stata efficace a causa della grande pressione sulla palla e sulle linee di passaggio degli angolani ma sarebbe interessante rivederla nelle prossime uscite.

La second unit

Non è piaciuto Spagnolo, all’esordio assoluto su determinati palcoscenici. Il quintetto più energico con Pajola e Procida insieme sul parquet ha dato la svolta decisiva alla partita. L’atletismo e la capacità di giocare senza palla dell’ex canturino avrebbero potuto fare molto male all’Angola, così come sarebbe stata utile la verticalità di Diouf, a suo agio nel tipo di gara che si è giocata per larghi tratti. Certo, ruotare in 12 sarebbe stata una scelta anomala e il Poz ha voluto tenere il campo aperto rinunciando all’ex reggiano. In questo modo ha voluto continuare a provare a imporre la nostra pallacanestro, una scelta condivisibile, specie contro un avversario più debole.

Credits: FIBA

Conclusioni

In sintesi, l’Italia non può ritenersi soddisfatta della prima uscita ma allo stesso tempo non ha molto da recriminare. Questa squadra vive e muore con il tiro da tre punti e il ball movement, per le caratteristiche che abbiamo è giusto insistere. Semmai, in ottica futura può preoccupare qualche tiro a cui abbiamo rinunciato nel finale. Anche questo fisiologico, con determinate percentuali. Da rivedere, specialmente per il prosieguo del cammino, qualche scelta difensiva sui pick and roll. Ma ci godiamo la fluidità con cui Tonut e Fontecchio vanno a battere l’uomo e concludere nel traffico, ci teniamo tanti tiri ben costruiti, la capacità di imporre il nostro piano partita senza esitazioni. Le grandi squadre vincono anche quando non convincono proprio perché continuano a credere in se stesse.

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