Le pagelle delle Finals: Lebron con una città sulle spalle, Green eroe a metà

NBA News

Un’altra Finale NBA in archivio, due squadre che a loro modo hanno entrambe contribuito alla storia di questo gioco con una serie bellissima, combattuta anche a livello tattico fino all’ultimo possesso di Gara-7. Non possiamo che ringraziare tutti gli interpreti per questo, da chi a vinto dominando fino a chi ha deluso le aspettative. Ecco le nostre pagelle della serie.

Golden State Warriors

Stephen Curry, 6.5: Molti considereranno le sue Finals deludenti, e probabilmente avranno ragione. Nel senso che, se si guarda alla sua stagione regolare, lo sono senza dubbio. Trova comunque il modo di stupire a tratti, in Gara-4 esplode per 38 punti regalando l’illusione del titolo ai Dubs, in Gara-7, chiamato a giocare (a detta anche sua) la partita migliore della propria carriera, stecca quasi del tutto con appena 17 punti e pochi guizzi. Nel complesso commette troppi errori, soprattutto in difesa, e risulta molto spesso il punto debole di Golden State nella propria metà campo.

Klay Thompson, 6.5: A differenza di Curry, è chiamato a fare un lavoro non indifferente anche in difesa, dove è accoppiato spesso con Irving. Lo soffre tremendamente da Gara-3 in poi, mentre manca completamente in attacco in Gara-1, Gara-3 e la decisiva Gara-7, dove, come lo Splash Brother, sparacchia senza troppa precisione.

Harrison Barnes, 4: Se c’è qualcuno che può essere realmente criticato dopo queste Finals, quello è lui. Fino a due settimane fa si parlava di massimo salariale in estate, ora probabilmente non ci si avvicinerà nemmeno. Spara 2/22 tra Gara-5 e Gara-6, sbagliando tiri apertissimi che ad un certo punto la difesa dei Cavs gli concede di proposito. Sembra diverso in Gara-7, quando segna la prima tripla che pare metterlo subito in partita, ma è un miraggio: arrivano anche nella partita decisiva tanti errori. Il tabellino di tiro in queste Finals recita 25/71.

Draymond Green, 7: Dargli un voto è durissima. Meriterebbe 8 per la Gara-7 disputata, oltre che per una straordinaria Gara-2. Macchia la sua prestazione e, chissà, causa la rimonta dei Cavs facendosi sospendere in Gara-5. Sarebbe andata diversamente con lui in campo? A vedere Gara-6 si direbbe di no, visto che risulta a tratti dannoso, ma è un giocatore unico e speciale, anche come leadership, e lo dimostra ampiamente nella partita decisiva.

Andrew Bogut, 6.5: Tutti hanno sottovalutato il suo apporto alla squadra nel momento dell’infortunio in Gara-5. Stava per tornare Green dalla sospensione, e un anno prima proprio panchinandolo Golden State aveva svoltato la serie. In realtà la sua mancanza nel pitturato si fa sentire, anche in termini di freschezza delle rotazioni, con Kerr costretto a ricorrere ad un Ezeli risultato inadeguato per questo palcoscenico.

Andre Iguodala, 7: Se Lebron entra nella serie solo in Gara-3 è soprattutto merito suo. L’MVP delle scorse Finals fa quel che può contro il fenomeno, che lo logora di possesso in possesso fino a costringerlo ad abbandonare Gara-6 dolorante alla schiena. Finisce dalla parte sbagliata della foto nel contropiede che avrebbe potuto consegnare una buona fetta di titolo ai suoi in Gara-7, ma obiettivamente non si possono dargli molte colpe.

Festus Ezeli, 4.5: Trova buoni minuti con l’infortunio di Bogut, e anche lui come Barnes sarà free agent quest’estate quindi vede ridimensionarsi il proprio valore economico. Commette molti errori, non solo al tiro (3/12 in tre partite per uno che gioca sotto-canestro è inaccettabile), ma anche di attenzione, come un fallo su tiro da tre punti che concede a Lebron nell’ultimo quarto di Gara-7.

Anderson Varejao, 6: Segna 7 punti totali in tutta la serie, ma molto spesso fa cose che non compaiono nel tabellino delle statistiche. Vero anche che altrettanto frequentemente le giocate di cui sopra non sono proprio correttissime, come quando si esibisce in interpretazioni da Oscar per ottenere una chiamata arbitrale. Nel complesso, però, è utile alla causa, in Gara-4 in particolare un paio di rimbalzi in attacco risultano decisivi.

Leandro Barbosa, 7: Non considerato praticamente da nessuno prima di queste Finals, il brasiliano si guadagna una promozione a pieni voti. Gioca due super partite per i suoi standard in Gara-1 e Gara-2, torna in doppia cifra in Gara-6 e nel complesso risulta sempre affidabile. Forse avrebbe meritato più fiducia in Gara-7 (solo 4 minuti).

Shaun Livingston, 6.5: La favola della doppia gioia dopo il terribile infortunio non arriva, e l’epilogo è diverso da quello di un anno fa. La sua Gara-1 è tutta un tirare in testa alle povere guardie avversarie, troppo basse per opporre resistenza. Dopo quei 20 punti, va calando, nonostante continui a sfruttare il proprio vantaggio in altezza e riesca in alcune occasioni anche a difendere su James, di tutto un altro “peso” rispetto a lui.

Marreese Speights, 5: Gioca poco e quando ne ha l’occasione stecca la partita, come in Gara-6 con quel terribile 0/6 al tiro. La difesa non è il suo forte e va sotto contro Tristan Thompson, cerca di caricarsi per Gara-7, ma si fa notare solo perché prende l’ultimo disperato tiro prima del suono della sirena.

James McAdoo, 6: In stagione regolare aveva disputato solo 41 incontri, per questo motivo sorprende che Kerr lo schieri in Gara-4. Nei limiti, il figlio di Bob non risponde male, anche se il livello rispetto agli altri interpreti è diverso.

Steve Kerr, 5: La sensazione è che quest’anno, a differenza dello scorso, non sia riuscito a trovare la quadratura del cerchio per una squadra colpita da Lebron e Irving dal pick and roll. La scelta di cambiare ripetutamente, con Curry spesso su James, condanna gli Warriors in molte occasioni, ed è la strategia che gli costa la serie.

 

Cleveland Cavaliers

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Kyrie Irving, 8.5: Nelle prime due partite alla Oracle Arena fa paura, nel senso che i Cavs iniziano a preoccuparsi. 2-0 e Uncle Drew complessivamente col 33% dal campo, compresa una Gara-2 da 15 punti e 2 assist che grida pietà. Da Gara-3 in poi svolta completamente, culminando nei 41 punti con un clamoroso 71% dal campo (!!!) in Gara-5 per mantenere in vita Cleveland. Segna la tripla decisiva anche in Gara-7 nell’ultimo minuto, spalancando le porte per il titolo ai suoi. In difesa, nonostante la reputazione, non sfigura.

JR Smith, 7.5: Come Irving, nelle prime due partite è irriconoscibile, roba da 8 punti e 3/9 al tiro complessivamente. Anche lui svolta in Gara-3, prende fiducia e va in doppia cifra nelle successive cinque gare, dando il proprio supporto anche in Gara-7 con due triple all’inizio del terzo periodo.

Lebron James, 9.5: Cosa si può dire? Certo, nelle prime uscite soffre la marcatura di Iguodala, nel primo tempo di Gara-7 commette più di un errore, si perde Green su qualche cambio. Sono cose che possono capitare in una serie lunghissima e combattutissima come questa. La realtà è che James incide nella pietra il nome di Cleveland per la prima volta: la sua Cleveland, il che rende la gioia ancora più grande. “I’m Home”, risponde a Doris Burke che sul palco gli domanda cosa abbia di migliore questo anello rispetto a quelli vinti con gli Heat. Si carica sulle spalle un’intera città, un intero Stato pronto a sostenerlo e alla fine riesce a vincere, tra le lacrime e con la terza tripla-doppia della storia delle Finals, una Gara-7 fuori casa e a rimontare da un 3-1 che sembrava ormai condannarlo ad un’altra sconfitta.

Kevin Love, 6: Andiamo con ordine. In Gara-1 gioca una buona partita, chiude in doppia-doppia, ma i suoi perdono. In Gara-2 prende una botta alla testa ed è costretto a saltare Gara-3, che i Cavs vincono generando una serie di teorie secondo le quali giochino meglio senza di lui. In Gara-4 torna e i suoi perdono, il che non fa che alimentare le suddette teorie. Disputa una Gara-5 che dire insufficiente è quasi fargli un complimento, e riesce anche a fare peggio in Gara-6. In Gara-7 si vede finalmente un Love a disposizione della squadra, lottatore a rimbalzo, ma la giocata decisiva è la difesa su Curry sull’ultimo possesso. Proprio la difesa, che lo aveva visto preda delle critiche durante il corso di tutta la sua carriera. Si guadagna così la sufficienza dopo una serie sicuramente non all’altezza.

Tristan Thompson, 8.5: Il suo apporto offensivo non è lontanamente paragonabile a quello di Lebron o di Irving. Si dimostra valido dopo mesi di critiche per via del contrattone firmato proprio per volontà di James: tra Gara-5 e Gara-6, decisive, cattura la bellezza di 31 rimbalzi, di cui 9 offensivi. Concede una miriade di secondi possessi ai suoi compagni e man mano non tradisce nemmeno dalla lunetta. Ma è in difesa che si guadagna tutti i soldi che intasca da contratto: alto 206 centimetri, si trova spesso e volentieri su Curry, riuscendo in molti casi a limitarlo o addirittura, come in Gara-7, a non permettergli di ricevere.

Richard Jefferson 7.5: In Gara-2 è forse l’unica nota lieta per i Cavs e molti già ironizzano sul fatto che Cleveland debba fare affidamento su un 38enne. Il veterano risponde presente e sfodera una serie di ottime prestazioni, anche a livello di leadership in campo, dandosi da fare in difesa e a rimbalzo. Si ritira da vincitore, che è la cosa migliore che possa capitare ad un atleta.

Iman Shumpert, 5: Non può nulla contro Curry quando è costretto a marcarlo, sparacchia in attacco anche quando è smarcato. Ha il merito di convertire un gioco da quattro punti in Gara-7, ma è pochino su sette partite. Poi con quei capelli… (si scherza, eh).

Matthew Dellavedova, 5: Era risultato l’uomo-chiave nella marcatura a Curry un anno fa, stavolta non frequentemente si accoppia col #30 ed in generale delude, tant’è che Lue dopo le prime due gare inizia a non vederlo più fino agli 0 minuti di Gara-7.

Dahntay Jones, 6: Il più chiaro esempio di “Ah, ma c’è anche lui?”. Non si vede praticamente mai, raramente scende in campo ma in Gara-6 fa una cosa importantissima: segna 5 punti in un amen e dà ossigeno a Cleveland nel momento del bisogno. In questa serie c’è anche il suo zampino.

Channing Frye, 5: Trova pochi minuti e anche quando ha l’occasione di giocare, come in Gara-3 e Gara-4, non incide. Lue decide di panchinarlo per il resto della serie.

Timofey Mozgov, 5: In un momento di scarsa lucidità, Lue decide di mandarlo in campo come secondo lungo al fianco di Thompson in Gara-2. Il risultato, già compromesso, peggiora. Potrebbe vedere il proprio minutaggio crescere in Gara-3 per via dell’assenza di Love, ma gioca solo 7 minuti, complessivamente è piuttosto impalpabile.

Mo Williams, 6: Finalmente ce l’ha fatta, anche lui. Come Lebron, era tornato a Cleveland per cercare il primo anello: lo ottiene con un ruolo molto diverso da quello che aveva nelle prime Finals disputate nel 2007. Gioca poco (nemmeno 5 minuti di media) ma dà il proprio contributo.

James Jones, 6: Il suo “That’s why we came here!” convintissimo a Lebron dopo il suono della sirena in Gara-7 fa un po’ sorridere se si pensa che lui, come James passato da Miami a Cleveland, è sceso in campo solo 4 minuti di media (e in Gara-4 e 7 nemmeno un minuto). Sicuramente è un pezzo importante dello spogliatoio.

Tyronn Lue, 8: Lo avevamo sottovalutato un po’ tutti, perché sembrava una specie di fantoccio messo in panchina dopo l’esonero di Blatt. Si è rivelato in realtà un valido allenatore, capace di leggere la serie e gli aggiustamenti dopo le prime due gare andate malissimo. L’attacco di Cleveland, i continui pick and roll e anche la concentrazione difensiva che hanno trovato i Cavs nelle partite decisive sono anche, e forse soprattutto, merito suo.

 

Un ringraziamento a TheMad per l’immagine in evidenza.

Francesco Manzi

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