NBA 2009 vs NBA 2019: la nostra #TenYearsChallenge

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Quanto può cambiare in 10 anni?

Prendendo ispirazione dalla contagiosa #TenYearsChallenge, sfida che sta impazzando sui social e che consiste nel pubblicare una propria foto di dieci anni fa di fianco ad una di oggi, ci siamo chiesti quanto la Lega più bella del mondo sia cambiata nel corso di due lustri. Spoiler: più di quanto crediate.

Traslochi & Co

Partiamo dall’inizio. La stagione 2008-2009, quella che prenderemo in considerazione per questa comparazione, iniziò con un cambiamento epocale per la storia della Lega. Dopo 42 anni, per la prima volta ai blocchi di partenza non era presente una squadra di Seattle. La gloriosa marcia dei Seattle Supersonics  nel campionato più prestigioso del mondo si era infatti interrotta definitivamente solo tre mesi prima, in seguito alla decisione del proprietario Clayton Bennett di trasferire la franchigia in Oklahoma per mancanza di finanziamenti. In fondo si sa, è un business.

Ma la scomparsa dei Sonics non è l’unica stranezza che, a dieci anni di distanza, salta all’occhio osservando la lista delle 30 squadre pronte a combattere per il titolo del 2009. Altre tre formazioni, infatti, hanno cambiato città oppure cambiato nome. I primi sono i New Jersey Nets che, nel 2012, hanno fatto il “salto di qualità” e per volere di Jay-Z sono approdati a Brooklyn, facendo dell’appena costruito Braclays Center la propria nuova casa. I secondi sono i New Orleans Hornets che, dopo essere divenuti Pelicans nel 2013, hanno praticamente “scambiato” il proprio nome con i Bobcats, oggi Charlotte Hornets. Ma modifiche all’anagrafe e cambi di città sono solo l’inizio.

Arrivi e partenze

Sembra passato poco tempo dal gennaio 2009, ma molto è cambiato da allora: il Re del Pop era ancora tra noi, un Lionel Messi ventiduenne stava per vincere il suo primo Pallone d’Oro, i Black Eyed Peas scalavano le classifiche mondiali con il singolo “I Gotta Feeling” tratto dal fortunatissimo album “The E.N.D.”. E in NBA?

  • Kobe Bryant e i suoi Lakers erano a un passo dal mettere in bacheca il quindicesimo titolo della storia giallo-viola, il primo di un back-to-back. Oggi, non solo il Black Mamba ha lasciato il parquet, ma a prendere il suo posto ad LA è stato niente di meno che LeBron James, alla ricerca di nuovi stimoli nella Città degli Angeli.
  • Gli Orlando Magic non erano una squadra in ricostruzione, erano la sorpresa della Eastern Conference, capace a maggio di mandare a casa l’MVP della stagione James e i suoi Cavs per battersi contro Kobe e Gasol in finale, trascinati da un Dwight Howard all’apice della carriera, incoronato Difensore dell’Anno.
  • Mike Brown sarebbe presto divenuto il Coach dell’Anno grazie alla grandiosa stagione dei suoi Cavaliers, primi nella Eastern Conference con un record di 66-16. Oggi non solo non siede più sulla panchina di Cleveland, ma è il vice-allenatore dei Golden State Warriors, acerrimi nemici dei Cavs negli ultimi quattro anni alle Finals.
  • LeBron James era amato da (quasi) tutti. Lo scandalo e l’indignazione che “The Decision” avrebbe portato con sé erano ancora lontani all’orizzonte, e l’astro nascente del basket mondiale era ancora il beniamino della sfortunata squadra dell’Ohio. Oggi, James si è riscattato con gli interessi, portando il Larry O’Brien Trophy  nella C-Town nel 2015 e provando con tutto se stesso a ripetersi negli anni successivi: scuse accettate. Nemmeno la decisione di seguire il richiamo delle sirene di LA la scorsa estate ha scalfito la legacy del Re. Quel che non uccide fortifica?
  • Derrick Rose aveva appena iniziato a calcare i parquet NBA. Selezionato con la prima scelta assoluta al Draft del 2008 dai “suoi” Bulls, il nativo di Chicago ha fatto vivere i tifosi dell’Illinois dentro una favola per qualche anno, diventando anche il più giovane MVP di sempre nel 2011. Poi l’infortunio, il ritorno, l’addio a Chicago. La storia la sapete.
  •  Shaquille O’Neal non sedeva dietro la scrivania di Inside The NBA su TNT, correva su e giù per il parquet al fianco di LeBron James. Come lui, tantissime leggende della storia recente della Lega erano ancora in attività: Kobe Bryant, Allen Iverson, Steve Nash, Tim Duncan, Yao Ming, Kevin Garnett, Manu Ginobili. Ma anche Brandon Roy, Paul Pierce, Ray Allen, Chris Bosh, Jason Kidd, Gilbert Arenas, Baron Davis, solo per citarne alcuni.
  • Stephen Curry era ancora un ragazzino troppo magro che navigava nella sua divisa di Davidson e metteva a ferro e fuoco i palazzetti NCAA di tutta America. La strada che lo avrebbe portato dall’essere solo “il figlio di Dell” – un buon tiratore con le caviglie di cristallo –  a diventare uno dei migliori nel suo ruolo, con tre anelli al dito e due premi MVP in bacheca, era ancora tutta davanti ai suoi occhi.
  • Così come Steph, tantissimi protagonisti della NBA di oggi dovevano ancora fare il proprio ingresso nella Lega. Giusto per fare qualche nome:  Anthony Davis, Klay Thompson, DeMarcus Cousins, Blake Griffin, Kyrie Irving, Ben Simmons, John Wall, Damian Lillard, Giannis Antetokounmpo, DeMar DeRozan, Joel Embiid.
  • A proposito di Commissioner: anche quello nel frattempo è cambiato. David Stern, dopo trent’anni di onorata carriera e il privilegio di aver dato il benveuto in NBA a leggende senza tempo come Michael Jordan e Hakeem Olajuwon, ha lasciato il posto nel 2014 ad Adam Silver. L’avvocato originario di New York ha dovuto affrontare più di una crisi (come lo scandalo Sterling) e, come vedremo, in soli cinque anni è riuscito a condurre la NBA a vette insperate.

L’espansione della NBA

Negli ultimi dieci anni, non sono stati solo i protagonisti a cambiare: anche la NBA stessa ha attraversato cambiamenti. E’ cresciuta, si è aperta a nuovi mercati, ha aumentato il suo valore. In gran parte per merito di Adam Silver, ma non solo. Il moltiplicarsi di contratti di sponsorizzazione di stelle NBA con aziende cinesi (Wade aprì la strada nel 2012, rinunciando ad un contratto stellare con la Jordan per firmare con il brand cinese Li-Ning, produttore delle sue Way of Wade) sta gradualmente aprendo alla NBA le porte di un Paese di oltre un miliardo di abitanti e ad una zona del mondo dal potenziale infinito. La NBA disputa gare di pre-season e regular season in paesi stranieri da più di quarant’anni, ma con Adam Silver ha raggiunto il picco massimo di popolarità a livello internazionale:  Credo che possiamo diventare lo sport n.1 nel mondo ha comunicato Silver di recente, seguito a ruota da Mark Tatum, suo vice: “Quando guardi la Cina, l’India, l’Asia, stai osservando il 60% della popolazione mondiale. Stiamo lavorando per diventare lo sport n.1 in quei Paesi.

Stephen Curry circondato dai fan a Tokio, nel corso di uno dei suoi tour.

La NBA  ce la sta mettendo tutta per ampliare il proprio pubblico e fino ad ora ci è riuscita. I tour di sponsorizzazione dei giocatori hanno fatto il resto. Stephen Curry, ad esempio, nel suo ultimo tour ha toccato Cina, Filippine, Giappone, ma anche Inghilterra e Francia. Lo stesso Klay Thompson, atleta di punta di Anta, ha visitato la Cina in estate tra file adoranti di migliaia e migliaia di fan, e come lui molti altri giocatori stanno seguendo la stessa strada.

Se a questo picco di popolarità sommiamo anche i contratti miliardari firmati con ESPN e Turner Spors prima (24 miliardi di dollari diluiti in 10 anni, a partire dal 2016) e con Nike poi (1 miliardo di dollari, +245% rispetto al precedente contratto con Adidas) possiamo facilmente dedurre come gli ultimi due lustri siano stati dorati per la NBA anche dal punto di vista economico, con una crescita costante che ha portato ad oltre un miliardo di dollari il valore complessivo della Lega. Niente male, Adam Silver.

Cosa riserveranno i prossimi dieci anni alla Lega più spettacolare del mondo? Non ci resta che scoprirlo.

Ilaria Palmas

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