Quando Davide sconfigge Golia

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Ciò che rende tanto affascinante il torneo NCAA è sicuramente il suo formato, pensato in modo tale che qualsiasi college, dalla più piccola università sperduta nel Midwest fino a UCLA e Kentucky, possa ambire a conquistare un posto alle Final Four. Certo è difficile, quasi impossibile, però può accadere e questo fattore aumenta in modo esponenziale l’interesse per una competizione di questo tipo; probabilmente solo la March Madness e l’FA Cup di calcio inglese sono caratterizzate da così tanto imprevedibiiltà e proprio per questo sono così seguite ed emozionanti. Difficile appunto che accada il miracolo, ovvero che una squadra con un seed (il numero accompagnato ad una squadra e che identifica la sua forza “teorica”) molto basso si spinga in là nel torneo; difficile ma non impossibile perché la storia ha mostrato che il formato “win or go home” rende spesso possibili delle imprese impensabili e così qualche volta Davide riesce a sconfiggere Golia. Quest’anno la March Madness non ha riservato troppe sorprese ma noi ripercorriamo comunnque storie di squadre “cenerentole” che hanno sorpreso tutti e che hanno contribuito ad aumentare il fascino di una competizione con pochi eguali:

2013, FLORIDA GULF COAST: DUNK CITY

Sherwood Brown, go-to-guy di quegli Eagles.
Sherwood Brown, go-to-guy di quegli Eagles.

Florida Gulf Coast è un’università fondata nel 1991, a Fort Myers, uno dei luoghi più belli ed incontaminati della Florida; il college, come sempre negli States si dota in fretta di un programma sportivo che riesce ad entrare all’interno del sistema di Division I soltanto nel 2011. La squadra di basket è però piuttosto solida e gioca soprattutto un basket veloce e divertente e riesce così nel 2013 a vincere il titolo della Atlantic Sun Conference, guadagnandosi un biglietto per il torneo NCAA. Nessuno prende in gran considerazione la squadra a cui viene affibbiato il n.15 che implica che nel primo turno bisognerà affrontare il n.2, un college ricco di storia e tradizione: Georgetown. Gli Eagles, questo il nickname della squadra, sembrano, come spesso accade, la vittima di Georgetown, poco più di un allenamento in vista di sfide ben più impegnative nel torneo. Effettivamente la partita non è quasi mai in discussione ma perché a dominare sono gli Eagles, che disputano una partita memorabile; al gioco di Georgetown, lento ed incentrato sul ruolo dei lunghi oppongono un basket veloce e spettacolare, in cui gli gli esterni la fanno da padrone andando spesso ad altezze “proibite”, in particolare a stupire è la guardia Sherwood Brown che per il suo stile di gioco attira l’attenzione e la simpatia di molti, contro ogni attesa il finale dice 81-71. 2 giorni dopo bisogna giocare il secondo turno, sempre a Philadelphia, stavolta contro la n.7 San Diego State ma ora tutti pensano che gli Aztecs non cadranno “in trappola” e rallentando il gioco potranno arginare l’attacco di FGCU. Gli Aztecs riescono con un po di sofferenza a chiudere il primo tempo con una lunghezza di margine ma nella ripresa cadono anch’essi sotto i colpi e le schiaccate degli Eagles che per il loro gioco vengono subito ribattezzati “Dunk City”: vittoria per 78-68 e Sweet 16. Per la prima volta nella storia una squadra con il seed n.15 entra tra le magnifiche 16 ed a stupire è il modo in cui ci entra: giocando a una velocità doppia degli altri. Ora bisogna affrontare la n.3 Florida e purtroppo il cammino finisce qui, troppa la superiorità tecnica dei Gators che questa volta riescono a controllare il match e a giocarlo ai loro ritmi: 62-50 il finale, il sogno di “Dunk City” finisce qui, ma difficilmente ci si scorderà degli Eagles.

1997, CHATTANOOGA: LA PRIMA CENERENTOLA

CHATTANOOGA-march-madness-1997Agli appassionati italiani il simpatico nome di Chattanooga potrebbe suonare familiare; questa località del Tennessee veniva infatti citata da coach Dan Peterson in uno spot di una nota marca di the. Ma Chattanooga è anche la sede dell’omonima università e dei Mocs (il nickname delle squadre del college, il cui significato è, a chi scrive, del tutto ignoto); la squadra appartiene alla Southern Conference e non ha mai avuto risultati degni di nota, tranne in una stagione, quella del 1997, in cui ai Mocs venne affibbiato il nome di Cenerentola, termine che da lì in poi avrebe caratterizzato le squadre rivelazione. Chattanooga ha appena vinto, a sorpresa la conference, e vola a Charlotte per giocare il torneo ed affrontare Georgia, n.3 del tabellone, ai Mocs è stato infatti dato un non certo esaltante n.14; i primi 3 minuti della partita sono però qualcosa di difficile da inquadrare: 15-0 per Chattanooga, con un paio di triple infilatesi da oltre gli 8 metri, il vantaggio tocca anche il più 20 ma i Bulldogs si riprendono dallo shock iniziale e recuperano pian piano arrivando fino al meno 3 nei minuti finali ma ormai è troppo tardi: vince Chattanooga 73-70. L’avversario del secondo turno si chiama Illinois, numero 6, e non si fa ingannare dai Mocs riuscendo a condurre ben buona parte della gara, senza però riuscire mai a scappare; gli Illini sono in vantaggio 59-55 con 7 minuti da giocare ma da quel momento i ragazzi di Chattanooga si trasformano e piazzano un parziale di 20-4 che li porta ad una vittoria per 75-63. Cenerentola è ormai entrata al grande ballo e sembra che possa continuare a sognare quando si trova di fronte la n.10 Providence, sulla carta inferiore alle due avversarie già sconfitte, che riesce però ad avere la meglio per 71-65. Nonostante la sconfitta i Mocs sono comunque entrati nella storia, mostrandosi a tutti come la prima Cenerentola.

1986, CLEVELAND STATE: RUN AND STUN

Cleveland State 1986Chattanooga è stata la prima squadra definita come Cenerentola ma il college che per primo stupì l’America è un altro: Cleveland State e per raccontare dell’impresa dei Vikings bisogna tornare alla stagione 1986; per il college di Cleveland è la prima partecipazione assoluta al torneo (la seconda, e per ora ultima, è del 2009…non proprio un college abituato al grande basket) e l’avversario, n.3 del tabellone, mette i brividi: Indiana, guidata in panchina da un mostro sacro come Bobby Knight. Allora non c’era certo la copertura televisiva di oggi, i Vikings provenivano da una piccola conference di scarsa importanza e Bobby Knight dichiarò di non conoscere neanche i nomi dei giocatori avversari e soprattutto di non averli mai visti giocare; l’impatto con il match fu quindi traumatico per gli Hoosiers, i loro avversari correvano il doppio e giocavano un basket che a livello di college non si era mai visto, erano come Florida Gulf Coast, ma quasi 30 anni prima ed il loro gioco venne subito ribattezzato “run and stun”, corri e stordisci; coach Knight tenta di correre ai ripari ma è troppo tardi: 83-79 per Cleveland State, per quello che è il primo grande upset nella storia del torneo. Al secondo turno l’avversario è St. Joseph’s e la situazione non cambia: gioco veloce, tiri da tre (un’arma all’epoca poco usata) ed avversari disorientati e non cambia neanche il risultato perché arriva un’altra vittoria per 75-69. Per la prima volta una squadra con il seed n.14 arriva alle Sweet 16 dove l’avversario dei Vikings è Navy, squadra guidata in campo dall’ammiraglio, David Robinson. Il futuro giocatore degli Spurs domina su entrambi i lati del campo, 22 punti e 14 rimbalzi, ma soprattutto segna il buzzer-beater che condanna Cleveland State all’eliminazione: 71-70 il finale. Cleveland State dopo quel torneo ritornerà nell’anonimato che l’aveva contraddistinta prima di quella stagione ma ancora oggi i Vikings sono considerati come la squadra che segnò un’epoca andando per la prima volta ad impensierire e battere un college delle major conference.

1998, VALPARAISO: THE SHOT

L'abbraccio tra padre e figlio.
L’abbraccio tra padre e figlio.

In questa stagione i Crusaders, questo il nick-name del college che ha sede nell’Indiana, sono tornati al torneo, venendo però eliminati al primo turno da Maryland non riuscendo così a ripetere l’impresa che questa piccola università compì nel 1998. Valparaiso in quell’anno poteva contare su una squadra di 11 mestieranti (nessuno di questi calcherà mai un parquet NBA, qualcuno finirà a giocare nel campionato bulgaro, qualcuno semplicemente diventerà un medico) ma anche su una stella assoluta: Bryce Drew, Mr.Basketball dello stato dell’Indiana, all-american e figlio di Scott, allenatore della squadra, che aveva deciso di andare a giocare per il piccolo college in cui allenava suo padre rifiutando le offerte di tante importanti università. Fra gli atenei che avevano offerto una borsa di studio a Bryce c’era anche Mississippi, n.4 del tabellone, ed avversario di Valparaiso nel primo turno di quell’anno. La partita è durissima, Bryce trascina i suoi compagni di squadra ma sbaglia la tripla del possibile sorpasso a 5 secondi dal termine: tutto sembra finito quando Ansu Sesay va in lunetta per Ole Miss ma coach Scott Drew ci crede ancora e chiama time-out, l’ultimo a sua disposizione, fra il primo ed il secondo libero; il giocatore sbaglia il secondo tiro e sul rimbalzo la palla esce dal campo dopo essere stata toccata da un giocatore di Mississippi. Il possesso è dei Crusaders, sotto di 2, ma bisogna attraversare tutto il campo e ci sono 2,5 secondi sul cronometro; quello che succede è però incredibile: sul passaggio lungo Bill Jenkins salta sopra gli alti giocatori di Ole Miss e con un morbido tap-in appoggia la palla a Drew che da oltre 7 metri fa partire la tripla della vittoria: 70-69. Quel tiro entrerà nella storia del torneo, tanto da essere ribattezzato “The shot” e coach Drew dirà che quel gioco l’avevano provato centinaia di volte in allenamento, bisogna crederli? . Dopo quell’incredibile partita i Crusaders vinceranno anche il turno successivo contro Florida State arrivando fino alle Sweet 16, dove dovranno però inchinarsi alla più forte Rhode Island di sempre. Il ricordo di quella cavalcata di Valparaiso resta tutto in quel tiro di Bryce Drew, che oggi seguendo le orme del padre si è seduto sulla stessa panchina.

Queste sono solo alcune delle magnifiche storie legate al torneo, le più significative forse, perchè realizzate da college piccoli e quasi sconosciuti che spesso dopo queste imprese sono tornati nell’anonimato a cui erano abituati. Ma proprio in questo sta la grandezza ed il fascino della March Madness, il mese in cui chiunque può ritagliarsi il suo spazio di celebrità e scrivere un pezzo di storia di college basket.

Redazione BasketUniverso

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