Un palazzo chiamato Pallacanestro

Rubriche

gentile milano

E’ iniziata non da molto una stagione di quelle un po’ particolari. L’onda lunga dei campionati Europei si fa ancora sentire e se mentre scrivo l’NBA sta producendo le ultime partite di preseason, le leghe europee, compresa la più importante tra tutte, l’Eurolega, già propongono alcuni spunti banali e interessanti allo stesso tempo.

Il modello Europeo di pallacanestro è decisamente incentrato sui concetti di squadra e allenamento. Il continuo succedersi di competizioni diverse, tra leghe nazionali, leghe internazionali ed impegni con le squadre Nazionali ha proposto negli ultimi anni un accrescimento dei carichi di lavoro su quei giocatori e quei tecnici che per capacità hanno meritato di poter competere in tutte queste manifestazioni contemporaneamente. Allo stesso tempo i regolamenti che prevedono diversi impieghi di giocatori comunitari ed extracomunitari all’interno delle stesse squadre, producono di fatto una disparità tra le squadre proprio rispetto ai capisaldi della struttura organizzativa europea: allenamento e squadra.

Così le squadre che hanno avuto i giocatori impegnati con le proprie nazionali si trovano in ritardo rispetto ad altre e paradossalmente non hanno neanche il tempo di recuperare il gap con chi, non avendo giocatori che abbiano partecipato a campionati continentali, ha potuto lavorare secondo una programmazione più tradizionale. E se è vero che i giocatori che hanno partecipato a manifestazioni estive sono generalmente pronti per giocare, lo è altrettanto che l’usura di una stagione senza alcuna pausa si ripercuota sia sugli aspetti fisici sia su quelli mentali di tali giocatori.

Immaginiamo per un attimo di metterci nei panni di Andrea Cinciarini che, dopo aver giocato ad livelli altissimi una finale scudetto, si è trovato quasi immediatamente a disposizione della nazionale italiana con la quale ha partecipato ad una nuova preparazione mirata agli Europei e conclusi questi ultimi, dopo pochissimi giorni, si è trovato di nuovo in campo con una squadra nuova, con compagni nuovi. A preparare una stagione tra l’altro in cui la sua squadra parteciperà oltre al campionato italiano anche l’Eurolega con conseguenze legate a pressioni di altissimo livello pressoché ogni giorno.

Le ricadute sul rendimento e sulla quantità di fatica fisica ed emotiva si vedono (e molto) nelle partite di inizio stagione ed inficiano la qualità di pallacanestro che questi giocatori sarebbero per talento in grado di produrre. A questo si unisce una ovvia dilazione del tempo di assemblaggio del gruppo e, ad esempio, riportiamo le parole di Jasmin Repesa, che ha usato il termine “finalmente“ collegato alla possibilità dell’Olimpia Milano di effettuare tre allenamenti consecutivi. La pazienza e le scuse rispetto al ritardo di affiatamento dei gruppi si giustificano quindi con un’analisi fredda delle condizioni al contorno.

Pur avendo in generale giocatori con capacità o esperienze di livello inferiore, le squadre che, ben allenate da tecnici comunque preparatissimi, hanno la possibilità di allenarsi assieme e con giocatori la cui condizione fisico-emotiva possa essere controllata secondo una programmazione ideale si trovano più avanti rispetto ai top team che subiscono gli effetti degli agenti di disturbo esterni (campionati continentali), che ne ritardano lo sviluppo. Così la stagione inizia con partite che hanno andamento “a strappi“ come nei settori giovanili o con squadre che sulla carta partirebbero da un livello più basso che si mostrano molto più pronte e producono vittorie a sorpresa o prestazioni convincenti.

hunt casertaFatte nostre queste debite considerazioni sui campionati di vertice, facciamo un passo avanti nella nostra analisi di questo inizio stagione. Immaginiamo la nostra pallacanestro come un palazzo, un palazzo alto, quasi un grattacielo. Mettiamo l’Eurolega all’attico e poi scendiamo come se da un ipotetico ascensore potessimo vedere i vari piani del nostro palazzo. La prima discriminante per poter accedere ai vari livelli è di natura fisica. Le dimensioni dei giocatori in media cambiano. In particolare la velocità di esecuzione del gioco e dei singoli gesti sono molto diverse ai vari piani del palazzo.

Una volta, parlando con Sandro Dell’Agnello, qualche anno fa, mi disse che in Eurolega non si faceva in tempo ad avere la palla in mano che si sentiva due giocatori addosso. In Serie A avevi già il tempo di vedere chi arrivava, e a fine carriera pur quarantenne, scendendo in A2, qualche volto aveva il problema di sentirsi “quasi solo“ da quanto fosse il tempo a disposizione per eseguire un fondamentale. Del resto se pensiamo adesso a Stephen Curry, la prima cosa che accende la fantasia di tifosi e addetti ai lavori è la velocità di rilascio del suo tiro (meno di 0.4 secondi, a volte). Ma qual è la velocità del giocatore di pallacanestro, e quali aspetti di essa fanno sì che un giocatore possa salire le scale del nostro palazzo, fino all’attico? I nostri giocatori devono correre, saltare, scivolare, assorbire contatti, cambiare direzione, eseguire lanci con uno strumento (la palla), quindi sono certamente degli atleti.

Finché non si ha la palla in mano, questo è relativamente facile, legato all’impegno ed alle capacità individuali, ma quando (grossolanamente per un quinto del tempo che si sta in campo), si prende possesso dell’attrezzo da gioco, tutto cambia. Il pallone è un impedimento, un peso, un oggetto esterno al proprio corpo. Quindi ogni gesto cambia in funzione della presenza stessa della palla. Provate a saltare senza palla e vedete dove riuscite ad arrivare, poi provate a far la medesima cosa con la palla in mano. Vedrete che difficilmente raggiungerete la stessa altezza. Stessa cosa per un cambio di direzione oppure per uno sprint.

Gestire e maneggiare l’attrezzo diventa una nuova discriminante della bravura. La velocità è sempre la componente principale, ma diventa una velocità tecnica, legata alla destrezza con cui si riesce a utilizzare il pallone.

Laquintana orlandinaA questa si aggiunge la capacità di “Lettura“, termine pure abusato che ci ricorda che capire la cosa giusta da fare aiuta a fare quella cosa nel migliore dei modi. Anche qui vorrei sfatare dei luoghi comuni. Molti giocatori di alto livello, a fronte di una destrezza eccezionale, non hanno una capacità di interpretare il gioco altrettanto eccellente. E se pensiamo che culture diverse hanno modalità molto differenti di insegnare l’alto livello, questo fatto non ci dovrebbe per nulla sorprendere.

Penso ad una considerazione di Ettore Messina (in bocca al lupo) sul fatto che nel basket NBA la soluzione del problema è mettere la palla nelle mani dei migliori giocatori il maggior numero di volte possibile, mentre nella cultura europea c’è la ricerca della miglior situazione possibile. Una differenza netta e decisa. La capacità di interpretare rapidamente una situazione unita ad una destrezza adeguata a gestire quella situazione è una ulteriore discriminante rispetto al livello di un giocatore.

Ma dopo tutto questo, cosa vogliamo dire?

Vogliamo dire che le variabili che incidono sul livello medio di un campionato professionistico, sono molteplici e di non facile attuazione. Nel momento in cui si abbassa il livello iniziale dei giocatori, vuoi per motivi legati alle capacità dei giocatori, vuoi per motivi esterni quali campionati continentali e impossibilità di aggregazione per le squadre, per conseguenza il livello medio della competizione tende ad abbassarsi, mantenendo però la stessa componente di stress su squadre, giocatori, allenatori eccetera.

La parola chiave rispetto a questo è “Pazienza”. Pazienza di saper valutare in modo costruttivo il processo di formazione di un gruppo. Pazienza nel gestire fallimenti ed errori formativi, pazienza nel sapere che se nel breve periodo possono esserci delle eccezioni a questo, sul lungo periodo il lavoro porta a risultati migliori. In fondo proprio l’Italia cestistica è vissuta spesso e volentieri di cicli prodotti da una programmazione e un’idea di crescita alla base di gruppi che rimanevano tali nel corso del tempo.

Paradossalmente, abbiamo parlato di velocità in questo articolo, ma per arrivare a quella velocità è necessaria una buona dose di… lentezza.

Marco Sodini

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.