Alessandro Gentile, ora all’Urania Milano, ha deciso di raccontarsi a Umberto Zapelloni su Il Foglio.
Superati i 30 anni è momento di bilanci per Gentile
“Sicuramente ho avuto alti e bassi, tanti bei successi e tanti momenti difficili. Se devo dire se sono contento di dove sono e chi sono ora, rispondo di sì perché sono contento del percorso, anche se essendo un ragazzo ambizioso so che si può fare sempre di più. Ma anche le batoste negative mi hanno aiutato a migliorare come persona e sono felice di quello che sono diventato. Tra i venti e i trent’anni c’è un abisso. Ci sono cose che non rifarei, ma credo che questo discorso valga per molta gente, perché dieci anni fa non avevo la testa di oggi. A vent’anni sei più istintivo, crescendo gestisci meglio certe situazioni“.
Per Milano Gentile ha rinunciato anche alla NBA
“A Milano penso di aver fatto un bellissimo percorso anche se non è finito come volevo. Però vincere da capitano il primo scudetto dell’era Armani, vincere quattro trofei a vent’anni, non posso non essere soddisfatto. Poi certo la fine del rapporto in quel modo ha creato degli scompensi e ci sono stati più bassi che alti nella mia carriera. Nba? Ero super felice a Milano. Non so dire se rifarei la stessa scelta, ma in quel momento e con quello stato d’animo sono stato felice di esser rimasto”.
A quel punto la sua vita è cambiata e ha dovuto fare anche i conti con la depressione.
“È stato un susseguirsi di eventi dentro e fuori dal campo. Ero stato proiettato in un mondo di adulti molto presto, subito sotto i riflettori, non ho avuto il tempo per crescere e maturare abbastanza per gestire determinate cose e reggere la pressione. È stato bello cominciare così giovane, essere già al mio sedicesimo anno da professionista, ma poi c’era l’altro lato della medaglia. Sono andato in depressione. È un argomento molto importante e tanta gente, anche fuori dall’ambiente, mi ha scritto per parlarne. Ho cominciato un percorso che sto ancora facendo per conoscermi bene, migliorarmi come persona e essere più buono con me stesso. Sono sempre stato esigente, ho sempre avuto grandi aspettative da quando ho cominciato a giocare nella scia di mio padre che era stato un grande giocatore. Dovrei essere un po’ più misericordioso con me stesso, anche se forse non è la parola giusta, credo renda l’idea. Ho superato la depressione che covavo dentro di me da un po’, ma è esplosa nel periodo del Covid, con l’aiuto della famiglia e di una professionista a cui mi sono affidato e che ancora adesso mi segue, perché ritengo giusto continuare a lavorare sulla mente e non farsi aiutare solo quando sei all’apice della crisi, come quando avevo attacchi d’ansia e di panico. Bisogna lavorare giorno dopo giorno”.
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