Brian Scalabrine torna a Boston da assistente e lo fa in maniera epica

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Ieri Brian Scalabrine ha annunciato il proprio ritorno ai Boston Celtics come assistente allenatore dopo aver svolto tale compito ai Golden State Warriors nell’ultima stagione. The White Mamba ha vinto un titolo coi C’s nel 2008 ed è diventato durante la propria carriera l’idolo dei tifosi per le numerose vittorie ottenute giocando pochissimi minuti. Per dare notizia del proprio ritorno a Boston, Scalabrine si è eretto a Lebron della situazione, aggiustando alla sua persona la lunga lettera che il Re aveva scritto il mese scorso per il proprio ritorno a Cleveland. Allo stesso modo, Scal ha intitolato la lettera, comparsa su CSN (quella di Lebron su Sport Illustrated), “I’m coming home”. Di seguito la traduzione in italiano in esclusiva:

Prima che chiunque si fosse interessato a dove avrei voluto giocare a basket, ero un bambino cresciuto ad Enumclaw, Washington. È dove ho camminato. È dove ho corso. È dove ho fatto il giornalaio porta a porta quando avevo sei anni. Ha sempre avuto un posto special nel cuore. Dal momento in cui ho firmato con i Celtics, ho capito che sarebbe stata la mia nuova casa. La maggior parte delle persone sono esattamente come me. Loro lavorano duro, giocano duro, e la passione che hanno per le loro squadre cittadine è diversa da quella del resto del mondo. La mia passione per la squadra è la stessa che hanno i suoi tifosi. Credo di essere stato una specie di tifoso, con la differenza di avere il posto a bordocampo gratis e che se fossimo stati avanti di venti punti con meno di due minuti da giocare sarei entrato in campo. Dov’ero io – la grande città americana di Boston. A Boston, la passione dei tifosi può schiacciarti. Ma mi ha guidato. I Celtics non vincevano un titolo dall’era di Larry Bird negli anni ottanta, e io volevo dargli la speranza che avrebbero potuto farcela. La mia relazione con Boston era diventata più grande della pallacanestro. Non l’ho capito quando ho lasciato Boston durante la free agency quattro anni fa. L’ho capito adesso.

Ricordate quando ho scartato i Celtics e firmato con i Chicago Bulls nel 2010? Ho pregato Ainge affinchè mi trattenesse e lui mi ha fatto un grosso in bocca a lupo. Stavo pensando, “questa cosa è davvero difficile”. Lo potevo sentire. Stavo lasciando qualcosa dopo aver speso 5 anni per crearla. Non ho dovuto pagare un pasto dal 2008. Cosa succederebbe se tutte queste cose non fossero successe? Se dovessi fare di nuovo tutto da capo, probabilmente andrei via comunque. Chicago, per me, è stata una sorta di scuola per la specializzazione. Ho sempre considerato di prendere il mio MBA (Master in Business Administration, uno dei più importanti programmi di specializzazione manageriale del mondo, metafora utilizzata per intendere una sorta di specializzazione da allenatore, ndr.) alla Northwestern (una delle principali università dell’Illinois, qui s’intende metaforicamente la regione degli Stati Uniti comprendente Chicago, ndr.). Questi ultimi quattro anni mi hanno consentito di migliorare il mio curriculum e di far vedere che genere di uomo a tutto tondo sono. Sono un giocatore migliore, un allenatore migliore, un opinionista migliore, e un Mamba migliore. Ho imparato tantissimo durante il tempo trascorso con le quattro franchigie con cui ho giocato…in realtà cinque, se consideriamo il tempo che ho trascorso in Italia, a Treviso, a causa del lockout. Qual era lo scopo di quel lockout? Penserò sempre a Chicago come la mia terza casa e probabilmente ad Oakland come la mia quarta…ma non al centro di Oakland, ma di più ai suoi sobborghi. Senza le esperienze che ho avuto in questi posti, non sarei in grado di fare ciò che sto facendo oggi.

Sono andato a Chicago per Thibodeau e Derrick Rose e la folle energia di Joakim Noah, e questa era la mia unica offerta di lavoro negli Stati Uniti. Mi è piaciuto diventare un cliente abituale di Giordano’s Pizza (la più famosa pizzeria di Chicago, ndr), i pasti gratis erano tornati. Ho amato i tifosi e la creazione del “White Mamba” da parte di Stacey King (telecronista di Chicago che ha coniato il suo soprannome, ndr.). Chicago era esattamente ciò di cui avevo bisogno e ho creduto che avremmo potuto fare qualcosa di magico se avessimo continuato insieme. Ma siamo caduti subito. Così ho portato i miei talenti a Golden State alla ricerca del loro titolo e ho ho davvero creduto che avremmo potuto fare qualcosa di magico se avessimo continuato insieme. Ma dopo sono stato mandato in D-League dove volavo fino a Hidalgo, in Texas, su voli di linea senza avere la prima classe sedendomi accanto ad un centro di 216 cm chiamato Ognjen Kuzmic. Non sarebbe successo nulla di magico lì, non sarebbe importato quanto tempo saremmo rimasti insieme. Ed è lì che ho capito che era tempo di tornare a casa.

Sto scrivendo questa lettera perché voglio potermi spiegare senza essere interrotto…e sto cercando di fare la stessa cosa che ha fatto un altro giocatore NBA che ha firmato di recente…più o meno allo stesso modo. Non voglio che nessuno pensi: lui e Mark Jackson non andavano d’accordo…i Bulls e i Warriors non riuscivano a costruire squadra giusta per lui…interessa a qualcuno ci che Brian Scalabrine sta facendo ora?  Nessuna di queste cose è vera. E, per la cronaca, io non ho mai giocato per i Warriors, ero un allenatore, ma la gente non riusciva a vedermi con il mio blocco per gli appunti. Non comprendo perché la gente non riusciva a capirlo, avevo un blocco per gli appunti, ero un coach vero e proprio.

Potrei fare una conferenza stampa, e sicuramente farò una festa. E tutta Boston sarà invitata. E quando avremo finito, noi avremo comunque un paio di mesi prima di metterci al lavoro.

Quando ho lasciato Boston, io ero in missione. Ero alla ricerca di un altro anello. Io volevo guidare un’altra parata, stappare altre enormi bottiglie di champagne e forse anche distruggere il palco della premiazione. Ma Chicago aveva già avuto queste emozioni con MJ e Oakland le aveva avute con i Bash Brothers (riferimento a Josè Canseco e Mark McGwire, rispettivamente esterno e prima base degli Oakland Athletics che vinsero le World Series di baseball nel 1989, ndr.). Come hanno fatto quei ragazzi a vincere solo un anello insieme? Seriamente. I tifosi dei Celtics non hanno quelle emozioni da quando c’ero anche io. Il mio obiettivo con i Celtics è di vincere più titoli di qualunque altra franchigia NBA, e non avrò pace finchè non lo farò. Non ho dubbi.

Ho sempre pensato che sarei tornato a Boston e che avrei finito la mia carriera lì. Solo che non sapevo quando sarebbe successo. Al termine dell’ultima stagione, sono andato a vedere “22 Jump Street”. Dopo ho visto “They Came Together”, dove hanno recitato Paul Rudd e Amy Poehler. È stato magnifico. Ma ho due figlie e un figlio. Siamo una famiglia stupenda. Ho cominciato a pensare come sarebbe stato trasferirmi con la mia famiglia a Boston, non al centro però, magari più verso Metro West o comunque almeno 20 minuti fuori città. Ho pensato ad altre squadre, ma non avrei lasciato mai Oakland se non per Boston…o forse Chicago…forse Brooklyn…o magari a Los Angeles per tornare con insieme a Doc. Più il tempo passava, più Boston sembra la scelta giusta. Questo è ciò che mi rende felice.

L’ultima volta che sono stato a Boston i fans erano tutti intorno a me. Loro hanno detto che non ne avevo più e mi hanno sfidato ad uno contro uno. L’hanno chiamato lo “Scallenge” ed ho dato a quei fan un beantown(soprannome della città di Boston) beatdown.

Presi la palla, il loro orgoglio e gli mostrai di che pasta fosse ancora il “White Mamba”. Dopo ciò mi scrissero lettere chiedendo autografi, alcuni di loro mi invitarono ai loro matrimoni. Anche Bill Simmons(Analista ESPN e residente in Boston) mi volle indietro per un po’ di tempo. Abbiamo avuto un incontro faccia a faccia, da uomo a uomo. Bill durante l’ultimo draft nba ha esultato. Tutti sbagliano, anche io. Ricordo che una volta quando ero a Chicago ho pronunciato male il nome di Omer Asik. Chi sono io per serbare rancore?

Non sto promettendo un titolo, so quanto sia duro da conquistare. In questo momento non siamo pronti. Ovviamente avrei voglia di vincere l’anello l’anno prossimo ma sono realista. Sono solo un annunciatore. Cosa potrei fare realmente fare? Sarà un lungo processo, molto più lungo che nel 2008. La mia pazienza sarà messa alla prova. Lo so, sto andando in una realtà di squadra giovane e con un coach giovane. Sarò il giovane annunciatore seduto subito accanto ad una leggenda come Mike Gorman ed imparerò dal più grande analista del gioco Tommy Heinsohn. So che ho molto da imparare ma vedo me stesso come un campione e credo di poter aiutare ad analizzare alcune schiacciate di Marcus Smart. Credo di poter innalzare il gioco di Kelly Olynyk dall’alto delle ricerche da me fatte. Non vedo l’ora di riunirmi a Rajon Rondo, uno dei miei compagni di squadra favoriti. Paul, KG e Ray avranno anche lasciato la squadra ma Rondo e il White Mamba rimangono, almeno per ora.

Però questo non è a riguardo del roster o dell’organizzazione. Anzi, pensandoci 2 volte è proprio a riguardo dell’organizzazione. C’è qualcuno meglio dei Celtics? Sento che la mia chiamata qui sia al di sopra del basket. Voglio che i bambini di Boston, come le migliaia di bambini delle scuole elementari di Boston coi capelli rossi che non riusciranno mai ad arrivare in NBA, che non c’è posto migliore per crescere. Forse alcuni di loro torneranno a casa dopo il college e lavoreranno in banca, quello mi farà sorridere. La nostra comunità che ha combattuto, beh non proprio. Vincere 8 campionati dal 2000 non è proprio combattere, e lasciatemi indovinare, i Sox hanno vinto lo scorso anno. E l’avrei dovuto capire… dov’ero io? Oh si, voglio portare un altro titolo a Boston, voglio solo cavalcare un altra parata, fumare un altro costosissimo sigaro Cubano come un tributo al rosso prima di appendere Il 18esimo stendardo.

A Boston nulla viene dato, Ricordate nel film “The Departed” Francis Castello ha detto: “Nessuno ti da nulla, devi prendertelo”. Quella era un gran scena e un gran film di Boston.

Sono pronto ad accettare la “Scallenge”, Boston sto tornando a casa.

Con la collaborazione di Gabriele Galbiati per la traduzione.

Redazione BasketUniverso

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