James Harden non è affatto un pessimo difensore

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Diciamolo, senza fronzoli e mezzi termini: l’ossessiva narrativa per cui James Harden venga costantemente additato come un pessimo difensore ha stancato. Ciò è stato alimentato nel tempo da clip e video di highlights che mostrano la stella degli Houston Rockets distratto, con poco o addirittura zero sforzo nel cercare di contenere o anche semplicemente marcare il proprio avversario diretto.

Chiariamo subito, tutto ciò non è campato per aria e in questa narrativa c’è stato e c’è della verità. Ma va contestualizzata e analizzata, poiché addentrandoci nello specifico scopriremo che in realtà Harden non è affatto un pessimo difensore come si vuol far credere e benché alcuni aspetti della sua difesa siano migliorabili (sia tecnicamente che soprattutto mentalmente), altri sono nell’élite del panorama NBA.

Dopo l’uscita di quei video, pur sapendo consciamente che si trattasse di singole giocate estrapolate e come non tutta la partita fosse su quella falsa riga, l’evidenza più netta e lampante era la mancanza di attitudine difensiva di Harden, a volte superato con estrema facilità dal proprio avversario, e la poca voglia di inseguire l’attaccante dietro i blocchi o di chiudere con un close-out. In definitiva, le più gravi pecche del numero 13 dei Rockets sono state sempre (e lo sono tutt’ora) riscontrate nella difesa dinamica.

Precisando che non verranno prese in considerazione queste prime partite della nuova stagione, sia a livello statistico che di pura analisi (a causa di un campione troppo limitato e del cambio di gestione tecnica), come ha fatto la franchigia texana a nascondere tutto ciò e migliorare la difesa di squadra e quella singola del proprio miglior giocatore?

Le scelte difensive di Houston

L’idea di Mike D’Antoni e del suo staff era chiara: il consumo di energia di James Harden nella metà campo offensiva era così elevato (2 anni fa oltre il 40% di Usage, il secondo più alto di sempre secondo basketballreference.com) da non potergli richiedere un lavoro troppo dispendioso anche in difesa che sarebbe stato deleterio in unione alla sua reticenza a muovere i piedi negli scivolamenti e a chiudere con tempismo sugli avversari in situazioni di spot-up (piedi per terra sugli scarichi). Quindi la scelta difensiva è stata quella di mettere Harden originariamente sul peggior attaccante degli avversari, orchestrare una serie continua e massiccia di cambi difensivi in modo da consentire all’MVP 2017-18 di difendere più un’area che un avversario, come una box-and-one al contrario. Il risultato nella scorsa stagione è stato renderlo 4° tra tutte le guardie per recuperi (1° due anni fa) e 2° per stoppate.

Rendere Harden più libero da marcature dirette gli consente di essere meno vincolato a problemi di falli, di essere più efficiente in aiuto e di intervenire sia nelle linee dirette di penetrazione, sia di intercettare passaggi e palloni vaganti: 3.2 deflections a partita nell’ultimo anno (11°, due anni fa 3° con 3.5) e 1.5 palloni vaganti recuperati a partita (9°). In più ciò gli permette anche di correre meno e sprecare meno energie, non a caso nelle ultime due stagioni è sempre stato ultimo in tutta l’NBA per velocità media difensiva. La coperta è corta poiché si lascia spesso libero qualche tiratore in più sugli scarichi, ma è la morte di cui Houston ha deciso di morire, scommettendo sui giocatori marcati in prima istanza dal Barba, ovvero sia quelli con percentuali più basse.

Cambiare ossessivamente su quasi ogni pick and roll o blocco lontano dalla palla evita anche ad Harden di dover fare ciò che gli riesce meno bene: rincorrere l’attaccante nelle uscite dai blocchi nel caso stia marcando un tiratore, oppure di dover inseguire il palleggiatore del pick and roll aggirando o evitando lo screen del lungo per tornare velocemente a mettere pressione sul ball-handler. Infine la continua sequenza di cambi difensivi ha portato James Harden nelle ultime stagioni a difendere più di chiunque altro nella Lega in situazioni di post basso (spesso contro i lunghi avversari), specifica nella quale eccelle come pochi altri fanno.

Pochi difendono bene come James Harden in post basso

Analizziamo la capacità difensiva di Harden nelle ultime tre stagioni confrontando la sua efficienza in queste situazioni di gioco: isolamento, pick and roll (sul palleggiatore), spot-up e post basso. Sommate otteniamo circa il 75-80% dei possessi difesi dal numero 13 della franchigia texana.

ISOLAMENTO
(top-10 per frequenza in tutti e tre gli anni)

2019/20: 0.86 punti concessi per possesso (59° percentile, ovvero sia fa meglio del 59% dei giocatori NBA)
2018/19: 0.79 punti concessi per possesso (79° percentile)
2017/18: 0.80 punti concessi per possesso (72° percentile)

PICK AND ROLL (difendendo il palleggiatore)

2019/20: 0.76 punti concessi per possesso (78° percentile)
2018/19: 0.81 punti concessi per possesso (75° percentile)
2017/18: 0.84 punti concessi per possesso (51° percentile)

SPOT-UP (tiro sugli scarichi)

2019/20: 0.98 punti concessi per possesso (60° percentile)
2018/19: 1.01 punti concessi per possesso (53° percentile)
2017/18: 1.06 punti concessi per possesso (38° percentile)

POST BASSO
(1° in tutti e tre gli anni per numero totale di possessi giocati a partita: nel 2018/19 addirittura ne ha giocati 2.7 ad allacciata di scarpe, 0.8 in più rispetto al secondo)

2019/20: 0.68 punti concessi per possesso (88° percentile)
2018/19: 0.68 punti concessi per possesso (90° percentile)
2017/18: 0.73 punti concessi per possesso (82° percentile)

Ciò che balza abbastanza vistosamente all’occhio è la costante crescita di Harden in termini di efficienza, migliorato di anno in anno in ogni situazione difensiva (considerando i punti concessi per possesso), ad eccezione degli isolamenti nell’ultima stagione. In più da notare come, a parte tre anni fa nelle situazioni di spot-up, sia sempre stato almeno superiore alla media del resto dei giocatori NBA.

Ma i numeri impressionanti li troviamo quando difende in post basso. Le statistiche per definizione possono essere fuorvianti e vanno sempre contestualizzate, però avendo Harden difeso più di chiunque altro negli ultimi tre anni in post esse avvalorano l’assunto: in pochi sono efficienti come lui.

Il Barba è fortissimo nella parte bassa del corpo e grazie alla sua capacità di reggere i contatti è difficilissimo da spostare per un attaccante spalle a canestro, anche per un giocatore più alto o con maggiore tonnellaggio che spesso si ritrova spinto lontano da canestro o verso i lati del campo. In più ha mani velocissime e precisissime che a volte rendono difficile anche il solo tirare, evitando spesso ai suoi compagni di dover aiutare o raddoppiare. La sua difesa in post non solo aiuta la squadra ma consente anche a se stesso di risparmiare le energie, fisiche e mentali, che perderebbe a inseguire l’attaccante in giro per il parquet e che lo renderebbero poi meno efficace in attacco.

Nella scorsa stagione Harden in post basso ha concesso solo il 33.7% dal campo e ha forzato una palla persa nel 12% dei possessi difesi. Questa percentuale sale a un incredibile 20% due anni fa, stagione nella quale ha difeso in post 68 volte in più rispetto al secondo (Cauley-Stein) e ben 130 volte in più rispetto al primo che per frequenza lo ha superato in efficienza (Eric Gordon, suo compagno, con 0.55 punti concessi per possesso).

Dove può/deve ancora migliorare Harden

I suoi miglioramenti negli ultimi anni sono evidenti: nella scorsa stagione per la prima volta in carriera la sua squadra ha reso meglio in difesa con lui in campo (108.2 di defensive rating) rispetto a quando è stato in panchina (109.2) ed è finito, secondo espn.com, 82° per Defensive Real Plus-Minus (12° tra le shooting guard), una stima su 100 possessi dell’impatto di un giocatore sulla difesa di squadra, sempre in crescendo negli ultimi 5 anni.

La sua intelligenza cestistica gli permette di anticipare le scelte dell’attacco e di mettersi sulle linee di passaggio (2° assoluto per somma totale di recuperi e deflections due stagioni fa), di fiondarsi sui palloni vaganti e di leggere correttamente e con tempismo quando aiutare un compagno dal lato debole.

Se tutto ciò, associato alla sua capacità in post, lo rende un ottimo difensore statico, è sulla difesa dinamica dove deve necessariamente migliorare. Al netto di non voler disperdere troppe energie, spesso perde il proprio uomo sul perimetro lasciando comodi tiri da tre punti, oppure sui tagli permettendo appoggi facili nella restricted area.

Nel contenere le penetrazioni o nella difesa sul pick and roll deve perdere l’abitudine di farsi passare facilmente quando cerca di forzare ostinatamente una palla persa, perché nel caso fallisca lascia un accesso facile e diretto verso il canestro. In più quest’anno (sempre che non venga scambiato visti tutti i rumors di trade che lo riguardano) lo staff tecnico e i propri compagni a Houston sono cambiati e la presenza di più lunghi (Wood, Cousins) lo potrebbero costringere a meno cambi e a concentrarsi maggiormente sulla marcatura del proprio avversario.

Il suo modo di giocare, attacco e difesa, al momento non basta a vincere quel tanto agognato anello, ma se comincia a lasciare sempre meno spazio sulle linee di penetrazione, sui tiri in sospensione e ad essere più concentrato quando si trova a difendere lontano dalla palla, può ulteriormente elevare il suo gioco e non essere visto sempre e solo come un giocatore offensivo, ma come un più che competente difensore quale ha dimostrato di essere in molti aspetti della metà campo considerata, erroneamente, meno nobile della pallacanestro.

 

Nota: Laddove non specificato tutte le statistiche sono prese su nba.com, via Synergy.

Michele Manzini

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