Sei anni dopo sono ancora ad un passo dall’anello: San Antonio Spurs!

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I big Three di SA

Tim Duncan, 37 anni.

Manu Ginobili, 35 anni.

Tony Parker, 31 anni.

Gregg Popovich, 64 anni.

Vecchi certo, come lo sono ormai da anni, ma forse non è ancora abbastanza. E’ un classico ormai che ad inizio stagione buona parte degli appassionati NBA, fidandosi troppo della loro età anagrafica “snobbi” i San Antonio Spurs nella lotta per le prime posizioni. Dimenticandosi che ciò che conta veramente non è l’età in sè, ma la forma fisica. Se, come per il 90% dei giocatori NBA, avere 37 anni significa carriera agli sgoccioli, è altrettanto vero che serve ogni tanto l’eccezione che confermi la regola: Tim Duncan, troppo sveglio mentalmente, troppo abile e veloce nella comprensione del gioco, troppo convinto dei suoi mezzi e, diciamocelo, troppo forte per una grandissima parte delle ali grandi della lega.

Troppo importante per l’ambiente Spurs, proprio come il suo rapporto con Gregg Popovich, l’allenatore cattivo, duro e severo di qualche anno fa, talmente cambiato da riuscire anche a perdonare gli errori dei De Colo o dei Cory Joseph di turno. Chissà cosa ne pensano Parker e soprattutto Ginobili del nuovo Popovich, se si ritengano sfortunati per averlo conosciuto nei suoi “anni peggiori” o se siano consapevoli che ciò che sono oggi dipende tantissimo dal lavoro fatto dal coach nei loro primi anni NBA. Se Tim Duncan è LA sorpresa e probabilmente LA chiave dell’ennesima stagione travolgente degli Spurs, vanno considerati una miriade di altri fattori, a partire dallo stesso Gregg Popovich, così diverso negli anni ma ugualmente vincente con un sistema chiaro ed inequivocabile in testa, un sistema che non necessita di altre spiegazioni, perfetto, giocato al meglio dai suoi interpreti. Ciò che però pare ancora più incredibile è la capacità di Pop di mutare la propria squadra a seconda di avversari, situazioni e letture diverse. Anche al costo di sacrificare Tim Duncan come è successo in alcuni momenti chiave della serie contro Golden State o, come fatto per “distruggere” lo staff tecnico di Lakers e Grizzlies, scegliere di giocare con Bonner da 4, una scelta rivelatasi azzeccata malgrado le difficoltà difensive.
Purtroppo per gli Heat però le brutte notizie non finiscono qua. Le chiavi in mano a Popovich e alla sua squadra sembrano moltissime e fermarli non sarà semplice. Spoelstra dovrebbe togliere ai nero-argento troppi punti di riferimento per metterli veramente in difficoltà, alcuni dei quali “nascosti” molto bene nelle partite: avete mai notato, per esempio, il lavoro di Kawhi Leonard lontano dalla palla? E la qualità della sua difesa? Oppure la pulizia della difesa e il piazzamento offensivo di Splitter? O come Danny Green sappia sempre perfettamente dove posizionarsi in ogni singola situazione? O come un semplice pick’n’roll giocato da due geni come Diaw e Ginobili si riveli letale con le giuste spaziature e i giusti tiratori?

Le finali sono alle porte e, ad oggi, è impossibile fare una previsione sul loro esito. I “vecchietti” di San Antonio (che comunque hanno riposato per una settimana, e potrebbe tornare comodo) o le stelle di Miami (che in questi playoff ha avuto a disposizione una sola stella)?

 

P.S. Aspetto romantico delle Finals: in caso di vittoria degli Spurs, Tracy McGrady conquisterebbe il suo primo titolo in carriera.

 

 

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Luca Diamante

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