Davide Alviti, Pallacanestro Openjobmetis Varese

A Varese non manca il carattere, ma la capacità di mordere le partite

Home Serie A News

Varese perde ancora. Quarta sconfitta di fila, e di nuovo la sensazione di averla lì, a un soffio, pronta per essere presa… e poi scivolata via quando la presa doveva farsi sentire. Venezia chiude con un 13–4 che fa male più del punteggio: perché questa non è una squadra che molla. C’è eccome. Lotta, fatica, si rialza. Semplicemente, ancora non sa chiudere le porte quando ce n’è la possibilità.

E per larghi tratti sembrava potesse farlo. Doppio svantaggio in doppia cifra: recuperato, quasi. L’energia c’era. Moore parte come uno che non vuole nemmeno far pensare alla pseudo-assenza di Librizzi (gioca 5′ dopo una settimana in cui ha combattuto contro un virus intestinale), Iroegbu entra e sembra già uno di casa — e non solo perché segna, ma perché cambia ritmo, cambia postura, trascina. Nkamhoua è la solita roccia silenziosa che non va mai fuori tema (15 punti con 8 rimbalzi). Tutti segnali che, in una settimana mezza zoppicante tra acciacchi e rotazioni stirate, valevano già qualcosa.

Poi però arriviamo sempre lì: i dettagli. Le pieghe. Gli ultimi due minuti in cui non devi essere bello, devi essere duro. E invece, nel momento in cui Venezia annaspa, Varese decide di diventare leggera, minuscola, quasi timida. Si rinuncia alla coppia Nkamhoua–Renfro proprio mentre il parquet chiedeva peso, corpo, presenza. Due canestri facili concessi, un rimbalzo che taglia le gambe, inerzia che vola dall’altra parte senza nemmeno salutare. Quando arriva la correzione, è una porta che sbatte tardi in una stanza già vuota.

C’è comunque molto di buono dentro a questa serata. Le dieci palle perse contro le sedici abituali. La risposta dopo ogni schiaffo. La capacità di fermarsi un secondo e ripartire. Soprattutto un nuovo innesto che sembra già avere le chiavi in tasca: Iroegbu, 19 punti, cazzimma, letture, faccia tosta, nessuna paura a prendersi la responsabilità – e di cambiare anche le abitudini coinvolgendo i compagni dai pick-and-roll. E come per magia, anche Moody si sveglia dal torpore e si ricorda di essere un giocatore: 11 punti, 3 su 8 dall’arco. Chissà se durerà, anzi, potrebbe comunque non rientrare nelle logiche della squadra ancora a lungo.

Rimane una domanda che torna puntuale come la sveglia del lunedì: perché, quando Varese dà la sensazione di potersela prendere, sceglie sempre di rimpicciolirsi? È timidezza, identità in costruzione, o semplicemente un’abitudine che non si vuole mollare?

Martedì c’è Bologna. Un’altra prova complicata, soprattutto in una settimana in cui la squadra non è mai riuscita ad allenarsi e a giocare in un contesto competitivo veramente al completo. Un altro esame per capire quanto manca per trasformare la crescita in vittoria.

Matteo Bettoni

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.