Determinazione

Home NBA Rubriche

“Ragazzi, mancano 7 giorni al ritiro di Kobe, che ne dite di fare un articolo al giorno e raccontare cosa è stato per voi Kobe Bryant?”

Queste sono state, più o meno, le parole di uno dei mie colleghi di BasketUniverso, la grande famiglia di cui ormai da più di un anno faccio parte. Appena ho letto il messaggio ho pensato, “sì, ci sto”. Non volevo perdere quest’occasione, per nessun motivo al mondo. E quindi eccomi qui, io, una tastiera, voi e Kobe.

Iniziamo.

Cosa è stato per me Kobe Bryant?

Dunque, devo prima dire che il mio amore per questo fantastico sport è sbocciato verso il 2004/2005. Prima ero immerso nella totale ignoranza; sì, sapevo chi era Bryant, ma lui come tanti altri giocatori di cui avevo già sentito parlare non significavano molto per me. Erano semplici giocatori. Punto.

Lentamente, poi, ho cominciato ad apprezzare maggiormente il basket, mio padre mi portava alle partite giovanili di mio fratello, ricordo come se fosse ieri i nostri momenti al tavolo dove ogni tanto avevo la possibilità di alzare le palette dei falli. Partita dopo partita l’interesse per questo sport aumentava. A dismisura. La passione di famiglia era ed è la pallacanestro, tifavamo e tifiamo tutt’ora l’Olimpia Milano, ma nessuno in famiglia aveva lo stesso amore per una squadra NBA, nessuno se non mio fratello. Così, sempre seguendo le sue orme, presto cominciai a seguire anche la pallacanestro oltreoceano. Lakers, Celtics, Pistons, Kings, Knicks, Raptors e tante altre squadre cominciarono ad affascinarmi non tanto per il gioco espresso quanto per il simbolo della franchigia (quanto ero ignorante, mi verrebbe da dire oggi pensandoci). E chi giocava in quei Lakers? Un tale di nome Kobe Bryant, appunto. Ricordo che da tempo a casa circolava una sua canotta di quando ancora aveva il n°8, “Ecco dove l’ho già visto questo nome!”.

kobe-bryant-81-points-nike-zoom-kobe-1

Mi appassiono sempre di più, l’Olimpia diventa una fede e presto inizio ad apprezzare per davvero il basket NBA, molto più spettacolare e scenico di quello europeo: come tanti in quegli anni, o almeno credo, inizio a supportare i giallo-viola, vista la rivalità riaccesa in quel periodo con i tanto odiati Celtics. Vengo poi a sapere che quel tale che ora ha il numero 24 sulla maglia ha passato tutta la sua infanzia in Italia mentre il babbo Joe giocava a Reggio Emilia, “è un grande sto Kobe” iniziavo a pensare sempre più frequentemente. Le sue giocate cominciavano a lasciarmi a bocca aperta, come tirava, come difendeva, come correva lungo il campo senza mai commettere un’infrazione. Arriva il suo quarto titolo in finale con i Magic e poi l’anno dopo il quinto, e ultimo, contro i Celtics, “il più dolce di tutti, considerando l’avversario“, dice Kobe.

E’ da questo momento che m’innamoro letteralmente del Black Mamba.

La carriera va avanti e i risultati, se non qualche riconoscimento a livello personale, stentano ad arrivare, anzi, non arrivano proprio. Ed ecco annunciato il suo ritiro, 1996-2016, 20 anni di carriera in cui Kobe ha fatto vedere quello che sapeva fare, toccando un livello di gioco, forse, mai visto prima (non voglio scomodare d’altro canto, nuovamente, paragoni con sua maestà MJ): Bryant metteva tutto sul campo. L’arma più letale era all’interno della sua testa, l’aspetto mentale, secondo molti giocatori che son passati sulle sue tracce, era quello che risultava decisivo nell’arco di una partita. Se lui, anche solo per un momento, ti vedeva abbassare la guardia e uscire dal match, puff, eri finito. Ti massacrava.

Fisico, mente, ma soprattutto dedizione, amore, ossessione per uno sport che è significato tutto per Bryant, un uomo che, fino a quando ha potuto, ha davvero dato tutto sé stesso.

Il fattore determinante che secondo me lo ha spinto a fare ciò?

Avrete notato come ho iniziato il mio pezzo su questo fantastico giocatore.

Un sostantivo, determinazione.

Credo che questa sia la parola giusta per descrivere Kobe Bryant. Un giocatore che negli anni non si è mai tirato indietro, non ha mai abbassato il capo e non si è mai arreso, cercando sempre di dare il massimo, sapendo sotto sotto di rischiare di andare oltre i propri limiti, con il rischio di sbattere contro un muro e farsi male, molto male.

E’ stato questo per me Kobe, un giocatore ma soprattutto un uomo che mi ha insegnato a vivere, ad affrontare ogni momento della mia vita a testa alta.

E se voi aveste l’occasione di incontrare Kobe cosa gli chiedereste? Io gli chiederei come fa e come ha fatto in tutti questi anni di carriera a dare sempre il 110%, con il piede perennemente fisso sull’acceleratore, senza mai fermarsi. Anche con moltissimi acciacchi fisici che avrebbero potuto metterlo KO più di una volta.

Mi piacerebbe tanto, tantissimo saperlo.

Proseguiamo.

Non vi è mai capitato di sentirvi deboli, inermi, soli, impotenti di fronte a qualcosa che sembra 10, 100, 1000 volte più grande di voi? Io, da normale essere umano, mi ritrovo spesso in una situazione del genere. E alla mente riaffiora una clip.

Gli americani amano utilizzare l’espressione “left on an island” quando un difensore deve cercare di marcare un grande attaccante, tradotto, “lascialo da solo sull’isola”. È così che Bryant si è sentito durante gara 5 delle Finali NBA nel 2010: i Celtics riescono nell’obbiettivo di lasciare da solo sull’isola il 24, mettendo fuori gioco i suoi compagni e lasciando Kobe di fronte al suo destino. 23 punti di fila (tutti i canestri dei Lakers in quel periodo sono suoi, praticamente), 19 nel terzo quarto. Incredibile. E i Lakers quella partita l’hanno anche persa. Ma poco importa, la serie l’han vinta loro e il Mamba ha avuto ragione, ancora.

Anche questo mi piacerebbe sapere, come diavolo hai fatto, Kobe, a fare una cosa del genere? Da solo contro tutto e tutti. Eccome se mi piacerebbe saperlo. Ma poco importa.

In tutti questi anni mi hai dato tanto, e soprattutto mi hai insegnato tanto. Ed è per questo che, ogni giorno, mi basta svegliarmi la mattina, ammirare il suo poster di fronte a me e ripetermi: “Teo, con la determinazione si può fare tutto. Lo sai tu, lo sa Kobe e lo sa chi ti sta attorno”.

In ogni momento della nostra vita, dobbiamo essere un po’ come il Mamba, determinati e testardi. Con la speranza di raggiungere i nostri obbiettivi e realizzare ogni nostro desiderio.

“Heroes come and go. But legends are forever”

Grazie Kobe, grazie di tutto.

Ci abitueremo a non vederlo più così

Matteo Gualandris

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.