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Esclusiva BU, Marco Sodini: “Cantù, il mio è un arrivederci. A Capo d’Orlando vogliamo competere per tornare in A”

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BasketUniverso ha avuto il piacere e l’onore di intervistare in esclusiva Marco Sodini, nuovo allenatore di Capo d’Orlando, che l’anno prossimo giocherà in A2, ma ha l’ambizione di poter tornare subito nella massima serie italiana.
Inoltre Sodini è reduce da un’annata da capo allenatore a Cantù, tanto emozionante quanto travagliata, viste le vicissitudini societarie, e con lui abbiamo parlato anche di questo.
Ringraziamo Sodini e la società orlandina per l’infinita disponibilità ancora una volta dimostrata nei nostri confronti.

Partiamo dal recente passato, cioè dalla tua prima stagione da capo allenatore in Serie A, a Cantù. Hai più volte ripetuto che è stata un’altalena di emozioni ma è soprattutto stata una grande annata a livello di risultati: semifinale di Coppa Italia e playoff raggiunti. Cosa ti porti via dall’esperienza in Brianza e qual è stato il momento più bello?

“Mi porto via tantissimo, soprattutto un sacco di persone. Tutti quelli che mi hanno dato una mano: Christian Bianchi, Oscar Pedretti, i dottori e tutti quelli che orbitano intorno alla Pallacanestro Cantù. Inoltre mi porto via tutti i tifosi, quelli che erano presenti con Milano al PalaDesio in quella gara storica, nonostante la sconfitta. Il mio è un arrivederci a Cantù, non un addio, e quando parlo di Cantù ho sempre il sorriso sulle labbra.
È difficile scegliere il momento più bello. Il palazzetto pieno sicuramente, ricordando che eravamo partiti con un migliaio scarso di persone presenti contro Cremona. E poi anche la vittoria contro Milano in Coppa Italia, ma vicino a quella gara lì metto anche quella a Torino, dove abbiamo giocato i tre migliori quarti di tutte le squadre di Serie A”.

Non è stata però un’annata semplice perché ci sono state parecchie complicazioni societarie e lamentele, soprattutto economiche, ma tu sei stato il vero collante tra le proprietà e la piazza. C’è stato un momento in cui hai temuto che Cantù potesse realmente fallire?

“Sì. Era il mio terrore. Devo dire però che quando è subentrato Andrea Mauri con un ruolo diverso ho capito che in qualche modo saremmo riusciti a portare la stagione al termine. Chiaro che le cose non sono mai state come avrei voluto che fossero, non tanto per me, che ho preso più di quanto ho dato, ma per i canturini”.

Quanto ti è dispiaciuto non poter continuare con la formazione brianzola?

Mi è dispiaciuto molto ma non ho rimpianti perché non c’erano minimamente le condizioni per poter continuare il nostro rapporto. Bisogna guardare avanti e ogni tanto essere anche un po’ egoisti; io sono stato molto altruista nei confronti della mia squadra ma a fine stagione ho dovuto fare una valutazione su me stesso. E le mie valutazioni non sono mai legate all’apparire, ma al mio star bene, e non c’è niente che mi fa star meglio dell’allenare, però a Cantù non c’erano più le condizioni per fare ciò come avrei voluto io”.

Avevi una squadra di pazzi, in senso buono e ogni tanto anche non. Ma qual è il giocatore che ti porteresti ovunque se potessi?

“Non ti rispondo (ride). Non perché sia difficile ma perché l’unità ti porta a non avere delle dita ma un pugno e noi alla fine eravamo diventati un pugno, riuscendo anche ad accettarci pur non piacendoci. Secondo me il merito più grande che hanno avuto i miei ragazzi è stato quello di essere stati capaci di convivere. E non era affatto scontato dati i loro caratteri!”.

Ora parliamo del tuo presente e futuro: Capo d’Orlando. Piazza per certi versi simile a Cantù: città piccola e con tanta passione verso il basket. L’obiettivo è tornare subito in Serie A?

“Capo d’Orlando è una piccola perla siciliana perché ha un mare fantastico, è organizzata benissimo e d’estate è invivibile per quanti turisti ci vengono. Però l’Orlandina è il cuore pulsante della città e io conosco la famiglia Sindoni da anni perché c’era già stato un contatto con loro, in particolar modo con Peppe, il general manager, e da allora abbiamo sempre avuto modo di confrontarci. Capo d’Orlando ha una struttura societaria veramente invidiabile e un obiettivo assolutamente ambizioso. Avevano bisogno di qualcuno che li aiutasse a competere immediatamente per tornare in Serie A; non so se sarà possibile già questa stagione però l’obiettivo è comunque provarci.
Ci sono due cose che accomunano Capo d’Orlando e Cantù: le persone ci fermano e ci riconoscono e i tifosi sono belli caldi, tant’è che nelle mie esperienze da avversario in Sicilia non ho mai avuto vita facile, anzi… come accadeva agli altri quando venivano in Brianza”.

Avete costruito un ottimo roster, che ha come ciliegina sulla torta i due americani – Jordan Parks e Brandon Triche – probabilmente la miglior coppia straniera di tutto il campionato.

“Abbiamo cercato di mettere in piedi la miglior squadra possibile. Sicuramente ha pagato la scelta, mia e di Peppe Sindoni, di aspettare la fine del mercato per vedere quali americani potessero accettare di scendere in una seconda lega europea. È stata un’ottima idea perché abbiamo preso uno che ha già vinto l’A2 con Trento (Triche n.d.r.) qualche anno fa e l’altro che è arrivato in finale con Trieste (Parks n.d.r.).
Avrei potuto scegliere se avere un roster di “anziani” o uno di giovani e ho optato per il secondo, tant’è che metterò in quintetto un classe 2000 come Matteo Laganà, sul quale nutro grandi speranze e aspettative, che però avrà al suo fianco un giocatore molto esperto come Davide Bruttini, il quale ha vinto tre degli ultimi quattro campionati di A2″.

Siete finiti in un girone forse meno competitivo rispetto all’altro, anche se ci sono sempre quelle due-tre squadre che dovrete mettere dietro per tornare subito in Serie A.

“È oggettivamente indiscutibile questa affermazione perché di là ci sono Treviso, Udine, la Fortitudo Bologna e Forlì, giusto per citarne qualcuna, che hanno un budget e hanno fatto un mercato per la promozione. Di qui ce ne sono un po’ meno ma comunque non partiamo favoriti secondo i bookmakers”.

E qual è l’avversario che temi di più?

“Me stesso. Ma non è che non voglio espormi, non è questo, è che non gioco questo campionato dal 2007. Quindi devo tarare nuovamente me stesso sul fatto che ho solo due giocatori non italiani e inoltre voglio riproporre le stesse idee di pallacanestro che avevo a Cantù, ma con un talento medio sicuramente inferiore rispetto a quello della Red October”.

Ti sei dato una risposta sul perché nessuna squadra di Serie A abbia veramente puntato su di te? È particolare come situazione perché anche un altro coach rivelazione come Marco Ramondino non è riuscito a trovare panchina. C’è 

forse troppo immobilismo tra i coach di Serie A?

“Ci sono tanti buonissimi allenatori nel campionato italiano e non solo Ramondino è fermo, tra quelli di alto livello. Questo sicuramente è un fattore.
Devo inoltre dire che la tempistica con cui ho detto a Cantù che non avrei continuato con loro non ha agevolato nella mia corsa ad una panchina di Serie A, perché certe scommesse si fanno prima, ancora a stagione in corso. Sicuramente, se non ci fosse stata Capo d’Orlando, non sarei rimasto fermo e avrei continuato a girare il mondo, tant’è che ho avuto alcune proposte da altri continenti, dal Sud America in particolar modo“.

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