MarQuez Haynes

Esclusiva BU, MarQuez Haynes: “Milano, Siena, Sassari, Venezia e la nuova vita da mental coach a 35 anni”

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MarQuez Haynes è stato uno degli americani che maggiormente hanno segnato il campionato italiano dell’ultima decade, vincendo 2 Scudetti con Venezia e andando vicinissimo ad un terzo con una delle ultime Montepaschi Siena, dopo una brutta esperienza a Milano. Oggi è un giocatore ritirato e si sta buttando nel mondo del mental coaching per allenatori e giocatori. Lo abbiamo intervistato in esclusiva.

 

Prima di tutto, come stai? Cosa stai facendo in questo momento della tua vita, ora che non sei più un giocatore di basket professionista?

“Mi sto solo godendo la vita dopo la pallacanestro, mi rilasso e mi godo i frutti di tutte le mie fatiche. Ho passato molto tempo nella mia carriera cercando di essere il miglior giocatore di basket possibile, è bello guardare tutto il lavoro che ho fatto cercando di restituire parte di quella conoscenza ai giocatori più giovani. Ho aperto un paio di attività nel settore immobiliare, ma il lavoro in cui mi sto lanciando è quello di mental coach; durante la mia carriera ero conosciuto come un ragazzo che ha vinto molto e fondamentalmente uso la mia mentalità per aiutare a migliorare allenatori e giocatori. Ho incontrato alcune persone che mi hanno insegnato come portare il mio lavoro a un livello successivo, quindi sì, il business che sto lanciando è quello che mi piace davvero, lo adoro e sono davvero entusiasta, spero di poterlo portare anche in Europa, a squadre o atleti che stanno solo cercando di alzare il livello della propria vita lavorativa”.

 

Sei stato molto fortunato nella tua carriera perché hai giocato in grandi squadre, a cominciare dall’Olimpia Milano. Poi hai concluso quella stagione a Siena. Com’è stata l’avventura con l’Olimpia e come è stato andare a giocare con i suoi rivali nell’ambito della stessa stagione?

“Nella mia carriera sono stato molto fortunato, ho giocato con molte grandi squadre europee come Milano, Panathinaikos, Maccabi, Siena, posti fantastici! E poi sono stato in altre città bellissime come Venezia, ma anche in Francia a Chalon da giovanissimo è stato stupendo, mi sarebbe piaciuto restare di più lì. Non mi sentivo a mio agio quando ho lasciato Milano, non era il mio posto, anche se amavo i miei compagni. Non li ho mai considerati dei nemici, erano dei fratelli per me. Ho apprezzo davvero l’occasione con l’Olimpia, ma non ha funzionato. Andare a Siena mi ha permesso di giocare contro Milano, il che mi ha permesso di dimostrare loro il mio vero valore, l’hanno visto di più quando ci ho giocato contro di quando ci ho giocato insieme. A Siena ho avuto un ottimo rapporto con Marco Crespi, che aveva già cercato di ingaggiarmi nel mio anno da rookie. È stato tutto molto naturale perché già avevo chiacchierato con lui, mi sentivo come a casa. A Siena ho lasciato un pezzo del mio cuore, sicuramente quella stagione mi ha aiutato tantissimo a crescere, nonostante non sia finita come speravamo”.

 

Purtroppo per voi quell’anno fu Milano a vincere lo Scudetto. Quanto rimpianto c’è in te per quella sconfitta in gara 7 contro la tua ex squadra?

“La sconfitta in gara-7 contro Milano è stata dura, ma onestamente è stata un’esperienza importante e per me quella stagione a Siena è stata un grande successo. Alcuni pensavano addirittura che non saremmo nemmeno arrivati ai playoff, non avevamo un budget paragonaibile a quello di Milano. Alla fine perdere è stato formativo perché mi è servito per poi vincere a Venezia. Ho avuto modo di prendere quell’esperienza e di completare effettivamente il lavoro, perdere quella gara-7 è stato fondamentale per guidare le altre squadre al successo”.

 

L’anno successivo arriva la firma con il Maccabi Tel-Aviv per poi tornare in Italia, a Sassari. Com’è stata la tua esperienza in Sardegna? In verità hai giocato poco con la Dinamo perché sei stato ingaggiato dal Panathinaikos, come premio per la tua stagione.

“L’esperienza in Sardegna è stata difficile per la squadra, ci sono stati molti cambiamenti, abbiamo avuto un paio di allenatori nel giro di pochi mesi ed è stato problematico trovare la giusta chimica. Però io mi sentivo bene ed era frustrante non riuscire a portare a casa i risultati. Probabilmente non sono stato in grado di godermi a pieno l’esperienza sarda perché ero condizionato dal fatto che non vincevamo, nonostante giocassi bene. Individualmente mi è andata talmente bene che poi mi chiamò persino il Panathinaikos a metà stagione. Penso di non essere stato capito fino in fondo in Sardegna, perché c’erano grandi aspettative ma le vittorie non arrivavano e davano la colpa per questi insuccessi veniva data anche a me, nonostante stessi facendo il mio lavoro molto bene”.

Dall’estate 2016 in poi hai trovato la tua pace interiore: la firma con Reyer Venezia. Con Venezia hai vinto una FIBA Europe Cup e 2 Scudetti (finalmente). Com’è stato per te vincere un campionato da capitano?

“Quella è stata la mia opportunità di dimostrare tutto il mio valore, sapevo di poter lasciare il segno e trovare una seconda casa. Così è stato a Venezia. Abbiamo passato insieme tre anni meravigliosi. Il primo Scudetto non eravamo favoriti e sapevo che la mia leadership sarebbe stata davvero una parte importante. Quando abbiamo vinto il secondo avevamo nomi di alto livello, a partire da coach Walter De Raffaele, che ha fatto un ottimo lavoro mettendo insieme una squadra e guidandoci. Poi i giocatori erano fortissimi: Melvin Ejim, Tyrus McGee, Jamel Hagins, Tomas Ress, ovviamente Michael Bramos, Jeff Viggiano e poi Esteban Batista che è arrivato a metà stagione, oltre al fortissimo Julyan Stone. Quando abbiamo aggiunto questi ultimi due sapevo che avremmo potuto vincere. Penso che alcune persone credessero che eravamo solo stati fortunati a vincere il primo Scudetto, ma la verità è che il secondo campionato dimostra che avevamo creato una cultura a Venezia. Davvero, è stato tutto stupendo e vincere da capitano lo è stato ancora di più!”.

Nell’estate del 2019 hai praticamente detto addio al basket, tanto da non rinnovare il contratto con il Venezia. Cosa ti ha fermato a soli 33 anni? Avresti potuto dare molto di più alla Reyer…

“Fisicamente sicuramente avrei potuto continuare a giocare a basket, ma la verità è che che mentalmente mi sentivo come se avessi dimostrato tutto quello che potevo. Vincere quei due campionati erano un po’ come l’ultima cosa che volessi fare. Ho guadagnato tanti soldi e mi sono divertito tantissimo, era come se la mia vita mi stesse chiamando a fare cose nuove. Se avessi continuato a giocare, non credo sarebbe stato per le giuste ragioni, era tempo di fare nuove esperienze e a Venezia mi sentivo come se stessimo cercando di fare qualcosa che avevamo già portato a termine. Quella decisione è stata presa completamente da me, quindi non c’è stato modo di arrivare a un accordo che facesse tutti felici perché loro volevano che io continuassi ma io non me la sentivo proprio”.

 

Qualche mese dopo sei tornato a giocare con la maglia del Paris, ma poi il Covid-19 ha bloccato il mondo del basket e non sei più tornato su un campo da basket. Oggi ti consideri un giocatore ritirato oppure mai dire mai?

“Quella di Parigi era davvero una buona opportunità economica e personale per andare a caccia di una nuova sfida. Purtroppo non è andata come speravo a causa del Covid-19 che ha bloccato tutto dopo poche settimane dal mio ritorno in Francia. Oggi sono al 100% un giocatore ritirato, è finita. Quei giorni sono finiti, ora mi sto concentrando sull’aiutare gli altri, portare al prossimo il tipo di mentalità che mi ha aiutato a fare ciò che ho fatto”.

 

Cosa pensi di fare nel prossimo futuro? Studierai per diventare allenatore come fanno molti giocatori nel tuo ruolo?

“Ho pensato di diventare un allenatore vero e proprio, ci ho pensato tanto, ma ad essere onesto non è che quello che voglio fare, quello che preferisco è allenare gli altri coach e i giocatori da un punto di vista mentale, non voglio spiegare loro tecnica e tattica. So che non tutti gli allenatori pensano di aver bisogno di quel tipo di aiuto, ma alcuni fantastici coach sono davvero tanto stressati, quello che faccio è aiutarli a performare meglio, senza vivere una vita di fortissimo disagio mentale. Nella mia carriera ho aiutato a rendere più facile il lavoro degli altri giocatori come playmaker, mi sono preso la mia responsabilità nel far segnare gli altri. Ora voglio prendermi la responsabilità di togliere ai ragazzi tutto lo stress che hanno addosso con le parole”.

 

Se potessi cancellare una scelta che hai fatto nella tua carriera, quale cancelleresti?

“È una domanda difficile. A dire il vero direi che non cambierei nessuna delle scelte che ho fatto nella mia carriera, perché sono state tutte così speciali che difficilmente le modificherei. Se potessi fare un cambiamento, probabilmente vorrei poter tornare indietro a Gran Canaria, lì ho avuto molti problemi con Pedro Martinez e quindi cercherei di sistemare le cose, o evitare di fare tutti i casini che ho fatto. Sono molto più maturo oggi, potrei gestire meglio il suo modo di allenare, questa è una cosa che cambierei. Ma se potessi davvero cambiare qualcosa nella mia carriera, mi rilasserei di più. Oggi posso dire che non aveva senso stressarmi per migliorare perché non avrebbe portato a più successo. Mi sarei dovuto godere di più i momenti. Visto che non è possibile tornare indietro, cercherò di trasferire questo concetto ai giovani con il mio nuovo lavoro.”.

 

Ringraziamo MarQuez Haynes per la grandissima disponibilità nell’averci concesso quest’intervista e gli auguriamo di poter avere tantissimo successo nella sua nuova professione.

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