From star to shooter, ovvero l’arte di reinventarsi

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Ci sono giocatori che tiratori ci nascono, se pensiamo ai vari Kyle Korver, JJ Redick, Steve Novak, Danny Green… uomini baciati dalla natura, cecchini che, oltre al talento naturale di mettere l’arancia nel cesto da qualsiasi posizione, aggiungono un maniacale lavoro in palestra prima e dopo le partite; spesso i tiratori sono gli atleti più strani, con routine infinite nei pre-gara e negli allenamenti, la maggior parte delle volte è più per questione mentale che fisica.

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E poi ci sono quelli che tiratori ci diventano, e spesso sono quelli più efficaci, soprattutto quando conta: giocatori che, andando avanti con l’età, capiscono che non hanno più l’esplosività fisica per continuare ad essere il go-to-guy e quindi si reinventano un ruolo, diventano cioè degli specialisti, che tanto sono bramati da ogni allenatore della NBA moderna. Ci focalizzeremo su 4 esempi, ognuno diverso dall’altro.

JetRd2Gm4Forse non tutti si ricorderanno come Jason Terry entrò nella NBA: scelto dagli Atlanta Hawks con la decima scelta nel draft del 1999, il Jet fu una della prime combo guard della storia moderna, capace di realizzare in ogni modo e nello stesso tempo di smazzare assists ai compagni (16.3 punti e 5.6 assists di media in 5 anni), che però non erano proprio i maggiori talenti della Lega. Al suo arrivo a Dallas nel 2004, Terry cercò di ripetersi nello stesso ruolo, ma non ci riuscì; solo nel 2009 capì che uscendo dalla panchina e specializzandosi nel tiro da fuori poteva fare la fortuna del suo allenatore, tanto che proprio in quell’anno vinse il titolo di miglior sesto uomo della NBA. Da lì in poi “The Jet” diventò praticamente solo un tiratore, in grado di spezzare le partite entrando dalla panchina.

7165892Un altro “piccolo” reinventatosi tiratore è stato quel genio di Jason Kidd: Dallas, Phoenix e New Jersey hanno visto il Kidd atletico, spumeggiante, capace di qualsiasi cosa con il pallone in mano; nel suo ritorno a Dallas nel 2008, a 35 anni, capisce che il ruolo di playmaker tuttofare non può più appartenergli e si specializza nel tiro da 3 punti e nella difesa, armi che gli permetteranno di conquistare un anello nel 2011 da protagonista e di prolungare la propria carriera fino al 2013, a 40 anni suonati con la maglia dei Knicks.

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Il terzo elemento di questo poker d’assi è conosciuto anche come “He got game”: prima di diventare probabilmente il più forte tiratore puro da 3 punti della storia della NBA, Ray Allen è da subito un eccezionale cecchino dalla lunga distanza, ma è solo una delle tante qualità che lo contraddistinguono; a Milwaukee ed a Seattle è il go-to-guy, capace anche di segnare 57 punti con la maglia dei Supersonics. Nell’estate del 2007 viene trasferito a Boston, per formare un trio eccezionale con Paul Pierce e Kevin Garnett: qui capisce che non potrà essere il primo ed incontrastato violino della squadra, quindi se KG opera nel pitturato, The Truth in penetrazione, lui staziona sul perimetro; memorabili le prove nel 2008 in finale contro i Lakers, nel 2009 al primo turno contro i Bulls e la tripla decisiva nella gara 6 del 2013 con la maglia degli Heat nella finale con gli Spurs. Allen detiene tuttora il record per tiri da 3 messi a segno nella storia della Lega ed è probabilmente il giocatore con la routine di allenamento più maniacale: l’esempio più lampante di come il duro lavoro, unito al talento, paga.

L’ultimo giocatore che analizziamo è forse il caso più evidente dei quattro presi in considerazione: stella, realizzatore, mostro d’atletismo a Toronto e New Jersey, guardia realizzatrice con poche fortune ad Orlando e Phoenix, elemento di lusso dalla panchina a Dallas e Memphis.

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La transizione da primo violino a uomo d’esperienza sul perimetro è evidente, stiamo parlando ovviamente di Vince Carter: con i Raptors ed i Nets, Vincredible infiammava il pubblico con canestri incredibili e voli ben oltre il ferro; ai Magic ed ai Suns attraversa un periodo di transizione a metà tra lo specialista e la stella con dei lampi del “vecchio” Carter, ma è a Dallas dove matura definitivamente la decisione di fare un passo indietro per il bene della squadra. Come tiratore di striscia in uscita dalla panchina diventa fondamentale per le rotazioni di Carlisle e spesso gli si affida inaspettatamente il tiro decisivo per la vittoria (chiedere agli Spurs per conferma) ed in questa stagione a Memphis sta ricoprendo lo stesso ruolo in un’altra contender: statistiche avanzate dimostrano come negli ultimi 4 anni ben il 46% dei tiri di Carter arrivino da dietro l’arco, quest’anno in particolare tocca il 57,7%.

Che sia un modo per allungare le carriere accaparrandosi contratti in giro per la Lega o per ricercare nuovi record personali, il saper fare un passo indietro e specializzarsi è un segno di maturità e di professionismo estremo, oltre che di intelligenza e di amore per il gioco, qualunque ruolo si debba ricoprire per arrivare alla vittoria. Ed a tutto ciò non nuoce il fatto che questi specialisti sono sempre più ricercati dalle franchigie in lotta per il titolo.

Francesco Manelli

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