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Denver

Con l’apertura del nostro sito, abbiamo deciso di introdurre una nuova rubrica, ovvero Court Atlas.
In questa rubrica scriveremo periodicamente un articolo riguardo una città che ospita una franchigia NBA oppure una squadra europea di grande tradizione. Ovviamente non è una lezione di geografia, ma cercheremo di raccontarvi la storia sportiva e i personaggi particolari (sempre nell’ambito sportivo) che hanno legato il proprio nome a quello di Denver.

Partiamo subito con Denver, Colorado, che ha ottenuto un incremento di simpatia da parte degli italiani grazie alle gesta del nostro Danilo, ma soprattutto del “Messia” Javale McGee…

Denver è sempre stata una città sportiva e aperta, è una delle poche in America a vantare una squadra in ogni sport professionistico (Nuggets NBA, Broncos NFL, Colorado Rockies MLB, Colorado Avalanche NHL e Colorado Rapids nel calcio, più ottime squadre nel basket e football collegiale) e la città è una patria dello sport praticato per gli amanti dell’aria aperta. Se gli italiani sono santi, poeti e navigatori, in Colorado sono sciatori, corridori, ciclisti e triathleti; infatti si può tranquillamente pedalare lungo le salite delle Montagne Rocciose, correre lungo il corso del fiume Animas o Arkansas, altrimenti una bella sciata sul vicino Mount Elbert (4399 mt.).

Tuttavia Denver è una città piena di contraddizioni e di momenti bui. La città era stata designata ad ospitare i Giochi Olimpici invernali del 1976, infatti secondo la CIO, la metropoli del Colorado era perfetta per ospitare quell’edizione dei Giochi. Invece, con un referendum, la popolazione, intimorita dalle notevoli spese per sostenere l’evento e dalla paura di vedere una trasformazione negativa all’ambiente naturale, pose veto sulla possibilità di ospitare i giochi del 1976 (che poi vennero ospitati in Austria, a Innsbruck).

Nonostante ciò, Denver e Colorado mantennero la loro vena sportiva.

Parliamo di John Elway. Nato a Port Angels nel 1960, fu forse il più grande quaterback della storia del football americano. Era la leggenda dei Denver Broncos. I Broncos con lui vinsero due SuperBowl consecutivi (1997-98) e venne insignito di numerosi riconoscimenti individuali.
Elway è stato il più grande atleta della città, se si parla del numero 7, si parla di Elway. Chiedere a Chaunchey Billups, prodotto preferito della città (nato a Denver, studiò nelle high school e nel college di Colorado, ha giocato con i Nuggets) che ha deciso di indossare la jersey #7 in onore di John.

I Denver Broncos sono la squadra più amata dalla città, grazie anche alle gesta del giovane talento sbarazzino Tim Tebow, ceduto poco tempo fa ai Ny Jets. Ora i Broncos possono sognare grazie all’arrivo della leggenda Peyton Manning.

Ma non è l’unica squadra vincente della città: anche i Colorado Avalanche della NHL hanno in bacheca due Stanley Cup (1995-2001), ma in questi anni sono sempre fuori dai playoff.

E i Nuggets?

Sono ritenuti cugini sfigati delle squadre di Denver.

Vengono sempre considerati una squadra buona, ma perdente. I Nuggets prima di Anthony erano sempre una franchigia da metà classifica, se non peggio.
Torniamo indietro nel tempo, nella seconda metà degli anni ‘70, i tifosi sognavano grazie alle gesta della spettacolare guardia David Thompson (fece 72 punti in una partita, mica schiappa era), che formava una squadra che professava il run and gun del coach Moe, assieme English, Issel e Vandeweghe. Roba da 70 punti in tre. Inoltre c’era un potenziale Jason Kidd, chiamato Fat Lever.
Nonostante la squadra spettacolare, non riuscirono mai ad andare in alto a causa degli infortuni e dalla smisurata passione di Thompson per la polvere bianca (si avete capito, la cocaina, sennò cosa sniffava? la farina?) Inoltre la società si suicidò facendo firmare un contratto astronomico a Skywalker (soprannome di David, vista la sua notevole elevazione) e i Nuggets vennero sbattuti fuori dai playoff.

2003. Precisamente il 26 giugno ci fu una svolta per la squadra. Dopo una stagione disastrosa, ottennero la terza scelta al draft e pescarono l’ala da Syracuse, Carmelo Anthony. Qualche anno dopo arrivò Allen Iverson e assieme a JR Smith e Kenyon Martin, formarono una sorta di Bad Boys. Funzionò solo in parte, vinsero molte partite, ma la finale era utopia.

Nel 2009 torna l’amatissimo Chaunchey Billups, ormai campione e MVP delle Finals, in cambio di Iverson. Con l’innesto di Nenè Hilario e di Afflalo si bloccarono sempre ai Playoff.
L’anno successivo Anthony voleva cambiare aria, la sua prima scelta era New York. Denver non voleva fare la fine di Toronto e Cleveland, ovvero due squadre morte dopo la partenza del loro big. Voleva ottenere il massimo con uno scambio e per farlo, non ha esitato a colpire al cuore della città cedendo il suo prodotto preferito: Billups.
Come dicevo prima, Denver è una città fantastica, ma piena di contraddizioni, non lo trovate anche voi?

Redazione BasketUniverso

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