Scugnizzi per sempre

“Scugnizzi per sempre” è un CAPOLAVORO.

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Mai avremmo pensato di dirlo ma “Scugnizzi per sempre” merita di entrare nella storia delle docuserie dello sport italiano. Se non mondiale. Merita di essere tradotto almeno in portoghese, per Oscar, e in inglese, visti i tantissimi campani e meridionali emigrati negli Stati Uniti nel Secondo Dopoguerra.

Grazie “Mamma Rai”

Siamo onesti: quando abbiamo letto che la Rai avrebbe realizzato un documentario sulla Juvecaserta dello Scudetto 1990-1991 avevamo pensato che sarebbe stato un flop, un qualcosa che di bassa qualità, giusto per riempire queste calde, caldissime, serie d’agosto. Invece la Rai è stata bravissima a sfornare una docuserie che merita di entrare di diritto nella storia della cinematografia sportiva italiana.

I protagonisti

La forza pazzesca di questo documentario in 6 puntate da circa 50 minuti l’una è la presenza di fenomeni della comunicazione.

Oscar Schmidt, se non fosse stato uno dei cestisti più forti della storia della pallacanestro, avrebbe tranquillamente fatto il cabarettista o lo showman in prima serata. Le sue battute, i suoi sorrisi, le sue pause sceniche hanno reso questa serie un qualcosa di unico.

I due “scugnizzi”, quelli veri, Nando Gentile ed Enzo Esposito, sono due grandi comunicatori, due che ne hanno viste e vissute tante e che sono stati in grado di raccontare con le parole un’Italia diversa da quella di oggi. Ma non troppo. Ancora oggi nel Mezzogiorno vediamo bambini che giocano a calcio o a basket per le strade. Ancora oggi vediamo bambini che si inventano porte con due sedie o canestri con qualsiasi tipo di contenitore. Certo, non succede come accadeva 40-50 anni fa, ma in minima parte accade ancora. Purtroppo.

Gli allenatori e il presidente. Dan Peterson, Boscia Tanjevic, Franco Marcelletti e Gianfranco Maggiò, oltre che la buonanima di Gianni Maggiò. Sono personaggi che nel basket di oggi ci farebbero scrivere articoli e articoli e articoli con le loro battute e la loro sagacia. Ma non quasi esistono più.

E poi è stata una scelta azzeccatissima far raccontare quella Caserta e quel basket anche a giovani tifosi, giornalisti, appassionati, mogli – di Nando e Oscar – e dirigenti che hanno seguito la Juvecaserta dalla nascita fino al fallimento.

Più che una storia, sembra una favola

Pensate a dei ragazzi nati nel 2003 come Matteo Spagnolo. Immaginatevi di sentire un giocatore che è entrato nell’Hall of Fame del basket che ha pianto per aver lasciato Caserta dopo 8 anni, tutto questo in un basket dove gli stranieri cambiano mediamente 2-3 squadre a stagione. Un’utopia, neanche una favola. Uno che avrebbe potuto giocare in NBA piange perché deve lasciare Caserta, nemmeno la città più bella del mondo da un punto di vista architettonico. Non è Roma o Parigi. E dove va? In A2, a Pavia, poco dopo averne fatti 40 e passa al Real Madrid di Drazen Petrovic. Una follia.

I ragazzi del “vivaio” e il più giovane capitano della storia della Serie A

Oggi parliamo di Luca Severini, che gioca il Mondiale con l’Italia, come di un giovane. Classe 1996, 27 anni. Nando Gentile ed Enzino Esposito a 19 anni erano già dei giocatori affermati e soprattutto all’epoca c’erano anche Pierluigi Marzorati, Antonello Riva, Riccardo Pittis e tanti altri “ragazzacci” che riuscivano a essere “profeti in patria”. Non tutti sono Gentile ed Esposito, ma Gabriele Procida, per esempio, quasi scelta al primo giro del Draft NBA, praticamente non giocava a 19 anni in 2 squadre che hanno terminato le rispettive annate con la retrocessione: Cantù e Fortitudo.

Il punto debole

Se dobbiamo trovare una pecca del “The Last Dance italiano” come alcuni l’hanno ribattezzato, ci sentiamo di dire che le ricostruzioni in stile fiction Rai si poteva evitare. Nessuna immagine di Gentile ed Esposito che giocano con la finestrella di un bagno come canestro può essere riprodotta meglio delle parole dei due. Niente può rappresentare il “ ‘nu fenomeno” detto da Virginio Bernardi al papà di Vincenzino, raccontato proprio da Esposito.

Datecene altri

Per favore. Il basket italiano ci ha regalato tantissime storie che nessun altro sport ha saputo costruire. Cantù 2 volte campione d’Europa, un paese di neanche 50mila abitanti. La Pesaro targata Scavolini. L’argento olimpico del 2004. Il “Grande Slam” della Virtus Bologna. Il “tiro da 4”. Scegliete voi. Ma datecene. Perché ne abbiamo bisogno. Vi promettiamo che li guardiamo. Voi dateceli e fidatevi di noi.

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