Sodini: “A Capo d’Orlando per tornare subito in A. Due anni da favola a Cantù, prima o poi tornerò”

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La Provincia ha intervistato il nuovo allenatore di Capo d’Orlando Marco Sodini, il quale ha parlato delle sue future ambizioni e dei bei ricordi della sua esperienza a Cantù.

Coach, ora si trova a casa sua, a Viareggio, oppure a Capo d’Orlando?

A Viareggio, ma sono in continuo contatto con la Sicilia. C’è da lavorare: mi sveglio presto la mattina e vado tardi a dormire la sera, quando devi costruire una squadra non c’è estate che tenga. Ed in questa fase sono e voglio essere protagonista.

Perché ha scelto Capo d’Orlando?

Ho sempre avuto un buon rapporto con Peppe Sindoni, anche se tutto è nato da un equivoco: già quattro anni fa stavo per andare là, per fare l’assistente di Giulio Griccioli, ma la notizia uscì in anteprima su un sito specializzato ed i Sindoni non la presero affatto bene, tanto da prendere Di Carlo che poi è diventato anche capo allenatore. Poi ci siamo chiariti, ho spiegato che la soffiata non era arrivata da me ed i buoni rapporti sono ricominciati.

Come mai l’A2?

Le panchine di A erano praticamente tutte assegnate, restava aperta solo Pistoia ma poi hanno scelto Ramagli e le alternative erano andare all’estero o partire di rincorsa. Siccome non ho l’arroganza di dover allenare in A a tutti i costi, sentendomi con Sindoni ho detto, d’istinto: “Se volete competere, se volete disputare un campionato di A2 per risalire subito, io ci sono”.

Che scelta è stata quella di lasciare Cantù?

Ponderata, e presa a malincuore. Con lo sviluppo di un progetto non avrei avuto dubbi e mi avrebbero convinto a restare, ma ho deciso con serenità, rispettando i miei valori.

Cosa le rimarrà di questa stagione?

Fotografie. Il PalaBancoDesio pieno, il derby con Milano a Firenze, in Coppa Italia, Parrillo che si tuffa per recuperare un pallone nella vittoria contro Sassari. E soprattutto le persone che mi fermavano per strada. Solo cose positive, mi porto via i ricordi belli. Come l’affetto della gente e di quelli che io consideravo i miei mostri sacri come Marzorati, Della Fiori, Riva ed altri che sono venuti a trovarmi. Solo a Cantù succede, perché questa città è la metafora della pallacanestro ed io ho vissuto una grande favola in un ambiente, un’atmosfera e con una tifoseria come non ne avevo mai vissute prima. E sono stato a Bologna, sponda Virtus, ed a Milano.

Che stagioni sono state in Brianza?

Diverse, la prima è cominciata con Kurtinaitis, il ritiro in Lituania ed uno staff tutto straniero. Poi Bolshakov, Recalcati ed un tentativo di normalizzazione dell’ambiente con il rientro  di alcune figure del passato, soprattutto canturine. Abbiamo fatto un sacco di cose che non avremmo dovuto fare, nel senso che non erano nelle nostre competenze. La seconda stagione invece parte da più lontano, dal lavoro del povero Betti e con il prodigarsi di Mauri affinché ci fosse un cambio di rotta. Anche qui ci siamo spesi in tanti, sia dal punto di vista tecnico che di squadra. Ci tengo anche a ringraziare, tra gli altri, Diego Fumagalli, uno dei tanti che ci hanno aiutato a formare un fortissimo spirito di squadra.

Tornerà a Cantù?

È nella logica delle cose, prima o poi succederà. Mi piacerebbe essere accolto bene, con lo stesso entusiasmo che io ho messo nel lavorare qui.

Alessio Tarquini

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