Cosa ci ha detto la prima parte della regular season NBA?!

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La stagione NBA 2021-2022 ha ormai compiuto il giro di boa da un paio di settimane e le classifiche delle due Conference cominciano a definirsi, dandoci un’idea più concreta di quali siano i rapporti di forza e di chi potrà giocarsi la vittoria fino alla fine nonostante il quadro generale sia forse ancora più incerto dell’anno scorso. Analizziamo i punti chiave di ciò che possiamo estrapolare dal calderone di queste prime 45/50 partite di regular season.

 

I PHOENIX SUNS E LA VOGLIA DI RIVINCITA

chris paul

Abbondantemente in cima alla Western Conference, con il miglior record della Lega e il 2° net rating dietro solo a Golden State (+7.9, 2° miglior difesa e 4° miglior attacco), i Suns dimostrano che la grandissima stagione passata, terminata a due vittorie dalla conquista dell’anello, non è stata un evento solitario e men che meno casuale. La rivoluzione portata da Monty Williams dopo le vacche magre (magrissime!) della seconda decade del millennio non si ferma, guidata da un certo Chris Paul (primo per assist con 10.2 ad allacciata di scarpe) che sguazza con merito nei discorsi per l’MVP. La continua maturazione di Booker, la presenza di un pacchetto di ali interessantissimo e versatile sui due lati del campo (Bridges, Crowder, Johnson) e l’aggiunta di due lunghi come McGee e Biyombo come riserve di Ayton ancora ai box per un infortunio rendono Phoenix la squadra da battere al momento.

Sempre che Steph, Dray, Klay al rientro e il sig. Kerr Stephen Douglas siano d’accordo.

 

LO STRANO PODIO DELLA EASTERN CONFERENCE NBA

Diciamocelo, a questo punto chiunque si sarebbe aspettato di vedere in cima alla classifica i Milwaukee Bucks campioni in carica o i Brooklyn Nets dei Big 3 nonostante la contumacia di Kyrie Irving nei primi mesi e nelle partite casalinghe. E sebbene le due squadre appena citate restino comunque le favorite a Est per giocarsi la finale di giugno, la sorpresa nel vedere Miami, Chicago e Cleveland nelle prime tre posizioni è tanta.

Gli Heat hanno giocato più di due terzi delle partite senza avere almeno uno tra Lowry, Butler e Adebayo disponibili ma la “panchina” ha dato le risposte che Spoelstra cercava, vincendo 9 delle ultime 11 partite con il 4° offensive rating. I Bulls vengono da un periodo difficile (perse 7 delle ultime 10) certamente causato dai numero infortuni ma la stagione clamorosa di DeRozan e l’intesa con Lonzo e LaVine la rendono una mina vagante da non sottovalutare. I Cavs sono ancora più sorprendenti, con Garland in crescita totale e un quintettone che in frontcourt schiera Markkanen, Mobley (ROY!) e Allen. Con questi 4 in campo Cleveland vince di 13.6 ogni 100 possessi, per Cleaning the Glass.

 

JA MORANT. PUNTO. SERVE ALTRO?!

ja morant grizzlies

Senza se e senza ma: Ja Morant è la cosa più divertente che possiate trovare adesso in NBA. Memphis sta vivendo una stagione da sogno, ha continuato a vincere anche in assenza del suo leader e a cavallo tra dicembre e gennaio ha piazzato una serie di 11 vittorie consecutive: ma se qualche profano volesse innamorarsi di questo bel giochino lo potrebbe fare perchè vedegiocare il prodotto di Murray State. Statistiche a parte (25.9 punti, 6.1 rimbalzi, 7.0 assist e 1.3 recuperi), ciò che abbaglia è la sua verticalità (citofonare Avery Bradley e Rudy Gobert), la sua coordinazione, la sua capacità di accelerare e rallentare a piacimento e il suo incredibile uso della mano “debole”.

Oltre ad aver migliorato la percentuale al tiro da 3 (30% scarso l’anno scorso, quasi 36% quest’anno), continua a dominare anche l’interno del pitturato ed è per questo che Memphis, pur non giocando un attacco stellare (stay tuned su questi canali, ma un paio di dati in anteprima: 24° per percentuale effettiva e 21° per punti per possesso nelle azioni a metà campo, dati Cleaning the Glass), è prima per punti in area, prima per punti da seconda opportunità e seconda per punti in contropiede. Come dice Draymond Green, “macchè MIP: MVP!”

 

IL PARADOSSO TORONTO RAPTORS

23-23. Questo il record attuale di Toronto che in due stagioni ha visto andare via i due principali interpreti della vittoria del titolo 2019 (Kawhi Leonard prima e Kyle Lowry dopo) eppure sembra ritardare sempre più il processo di rebuilding, grazie alla progettualità e alle scelte del factotum Masai Ujiri. Chi si aspettava il tanking, fisiologico forse per una squadra giovane come questa, è rimasto deluso e sembra che la volontà di creare un modello sempre vincente grazie a un programma chiaro e solida stia avendo la meglio. Siakam, ma soprattutto Anunoby e Van Vleet continuano a migliorare e stanno giocando la miglior pallacanestro delle loro carriere e ciò che sta germogliando intorno a loro sembra promettere molto bene per il futuro. Certo, le partite brutte e le sconfitte pesanti ci sono state con notevole sofferenza all’interno dell’area ma l’atipicità del roster (braccia lunghissime per tutti e infatti primi per deflections e palle perse forzate), infarcito di giovani, role player e giocatori in grado di cambiare su tutti i blocchi, alla lunga potrà dare frutti graditissimi nelle prossime stagioni.

Se i Raptors dovessero raggiungere i Playoffs metterebbero già il primo mattoncino di un futuro roseo e prolifico, data la flessibilità salariale che al momento posseggono.

 

LE DELUSIONI A OVEST IN NBA

I Los Angeles Lakers sono la cosa più indecifrabile di questa stagione NBA. Puntato tutto su Russell Westbrook, sacrificando la profondità del roster che davano loro i vari Kuzma, KCP e Harrell, la squadra di Vogel (pubblicamente dichiarato in bilico da qualche settimana) non ha mai potuto avere una continuità degna di tale nome, anche per l’infortunio di Anthony Davis. Per questo motivo è sempre costretta a esperimenti che alle volte riescono bene (LeBron da centro, unico faro nella nebbia), altre meno così come gran parte delle scelte estive (tenere THT al posto di Caruso in primis oltre che al già citato Brodie e alla sua disfunzionalità attuale). L’aver riunito tantissimi nomi con così poche idee (23° offensive rating e mai una continuità nei quintetti proposti) si sta rilevando deleterio per i gialloviola che navigano in zona play-in solo perchè ci sono squadre ben peggiori a Ovest. Il rientro di Davis può dare una svolta ma sembra che la strada per raggiungere le altre squadre della Conference sia difficilmente percorribile.

Portland è l’altra squadra che ha più deluso a Ovest, non considerando le varie Houston, Oklahoma City, New Orleans e l’immancabile Sacramento data la differenza di qualità nel roster. La partenza difficoltosa di Lillard, seguita dal suo infortunio, ha permesso l’ascesa di Anfernee Simons ma ha fatto sprofondare le ambizioni dei Blazers che ora si avviano verso scelte estive difficili.

 

LE DELUSIONI A EST IN NBA

brown tatum celtics

Se da una parte ci sono i loro rivali storici, dall’altra non si va tanto più lontano di Boston per trovare la squadra che più sta deludendo i propri tifosi. Dopo aver giocato 3 Finali di Conference nelle loro prime 4 stagioni insieme, Brown e Tatum, due splendidi interpreti a livello singolo, continuano a non riuscire a fare lo step decisivo nel guidare i Celtics e soprattutto nel migliorare i propri compagni. L’ascesa di Robert Williams non basta alla squadra del neo coach Ime Udoka per uscire da quel limbo che quasi certamente la porterà per il secondo anno consecutivo a giocarsi il play-in. Se la difesa (4°) è un aspetto più che positivo, resta il solo di fronte a un attacco che fa una fatica tremenda a trovare ritmo e che risulta efficace solo nella conformazione Smart-Brown-Tatum-Horford-Williams (+ 17.8 punti su 100 possessi, per Cleaning the Glass). La voci di trade continuano a rincorrersi ma potrebbe comunque non essere sufficiente.

Anche Indiana di coach Carlisle sta vivendo una stagione travagliata, con gli infortuni di Brodgon e Warren che non bastano a spiegare il tracollo di vittorie e le insistenti richieste di trade di due giocatori importanti come Sabonis e Turner. Washington e New York invece erano partite benissimo, per poi illuderci e tornare alla mediocrità che le ha contraddistinte nei tempi recenti, stazionando vicino a chi ha scelto (o si è ritrovata) in zona tanking.

 

ROAD TO MVP DELL’NBA

Abbiamo citato CP3, Ja Morant e DeMar DeRozan: tutti possibili candidati al premio di MVP… se non fosse per la presenza di autentici mostri sacri che se la giocheranno fino alle ultime partite.

Giannis Antetokounmpo e Joel Embiid sono ampiamente nella top 3 della corsa al premio di miglior giocatore dell’anno. Con numeri pressochè identici (miglior percentuale dal campo per il greco e più assist ma migliori percentuali al tiro da tre e ai liberi per il camerunense) stanno guidando le rispettive franchigie e continuano a migliorare, annata dopo annata e di partita in partita. Ma c’è chi fa ancora meglio e il suo nome è Nikola Jokic. L’MVP in carica va per il back-to-back poichè senza il secondo e il terzo violino sta letteralmente trascinando i Nuggets a suon di triple doppie e giocate fantascientifiche per uno della sua stazza. Un solo dato: la differenza di punti ogni 100 possessi dei Nuggets tra quando è in campo e quando è fuori è di +26.0! Primissimo per distacco, per Cleaning the Glass.

Kevin Durant (primo per media punti a 29.3 sfiorando il 50-40-90) è stato per settimane uno dei papabili vincitori, ma l’infortunio che lo costringe fuori per almeno 6 settimane potrebbe precludergli la vittoria. Stessa sorte per LeBron James che, a fronte di numeri mostruosi (29.1 punti con il 52.5% dal campo, 7.7 rimbalzi, 6.3 assist, 1.6 recuperi e 1.1 stoppate) specie se prodotti da un atleta di 37 anni, è costretto a fare i conti con il record negativo della propria squadra. Infine ci sarebbe sempre Steph Curry, un po’ sceso nel ranking dopo un inizio di stagione pazzesco.

 

fonte dati laddove non specificato: nba.stats.com

 

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Michele Manzini

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