Gianmarco Pozzecco: un vero fenomeno o un fenomeno da baraccone?

Rubriche Serie A

In queste prime giornate di campionato avevamo avuto qualche assaggio: fra l’esultanza sfrenata dopo la vittoria con Cantù con tanto di taglio di capelli annesso e la conferenza stampa successiva alla sconfitta di Roma, il Poz ci aveva già fornito abbastanza materiale per discutere del suo modo di approcciare il ruolo di allenatore. Domenica però, durante il derby contro Milano, la questione è, per forza di cose, esplosa in maniera dirompente. Espulso, per due tecnici ricevuti, quando mancavano poco meno di due minuti all’intervallo lungo, Gianmarco Pozzecco ha dato il via ad una dimostrazione di rabbia decisamente eccessiva, prendendosi un po’ troppo tempo per abbandonare il parquet, quasi costretto da un dirigente varesino e dal suo giocatore Eyenga e, in un impeto incredibile, strappandosi di forza la camicia e incitando il pubblico di Masnago, quasi stupito anch’esso di trovarsi di fronte a questo spettacolo.

Ovviamente, come al solito quando c’è il Poz di mezzo, il popolo cestistico italiano si è diviso: chi ha condannato la sua scenata senza alcun dubbio, chi lo ha difeso a spada tratta come in altre occasioni, chi ha dovuto riconoscere che forse, stavolta, il suo comportamento era andato un po’ oltre le righe. Prendere o lasciare. Con Pozzecco si è sempre trattato di fare questa scelta, decidere di adottarlo incondizionatamente come proprio idolo, simbolo di una grande passione e di un’innata voglia di vincere oppure, indicarlo come una sorta di zimbello, un esagitato, un personaggio folkloristico che sfrutta la propria figura in maniera ottimale.

Tante sono le domande che ci si pone ogni qualvolta che il Poz finisce sulle prime pagine del basket per episodi simili: il suo è veramente un atteggiamento spontaneo, o gioca col suo modo di essere? non dovrebbe cercare di controllarsi in quanto coach, oppure è giusto che il suo temperamento sia lo stesso di quando era giocatore? Cerchiamo di offrire delle risposte a questi quesiti, senza prendere una posizione netta in proposito, ma evidenziando i pro e i contro di tali atteggiamenti e dei loro effetti.

La reazione di domenica dopo l’espulsione ha ricordato l’esultanza sfrenata della prima giornata per la vittoria di un altro derby, quello contro Cantù. In entrambi i casi l’ex play e coach dell’Orlandina ha avuto delle reazioni istintive, frutto di una grande passione, di un grande coinvolgimento per quello che si fa, figlie di una mentalità che ha sempre avuto come scopo il dare sempre il massimo possibile e il non arrendersi mai. Non sono state delle scenate costruite, studiate ad arte per attirare l’attenzione su di sé, ma dei comportamenti naturali per uno della sua indole. Questo è già un successo, il fatto che Poz c’è, non ci fa. Non basta però la sincerità per stare dalla parte della ragione, a volte è necessario darsi un controllo, ragionare un paio di volte prima di agire. Se esultare per una vittoria, in qualunque modo, è sacrosanto e giustissimo, soprattutto se non si manca di rispetto all’avversario, atteggiamenti come quello dell’ultima partita sono rivedibili e punibili. Il ruolo di un allenatore è diverso da quello di un giocatore, si è sempre dentro la partita ma in maniera diversa, si è fuori dal campo quel poco che basta per cercare di cogliere quelle cose che chi è dentro è troppo coinvolto per capire, per cercare di avere quella dose di

Gianmarco Pozzecco si strappa la camicia nel derby contro Milano.
Gianmarco Pozzecco si strappa la camicia nel derby contro Milano.

raziocinio in più utile ad elaborare più in fretta decisioni e situazioni diverse, giuste o meno che possano essere. Pozzecco deve ancora migliorare sotto questo punto di vista. Moderarsi nelle proteste e nei modi di fare deve essere imprescindibile, per permettere alla squadra di giocare sempre con il suo coach a fianco, di avere un punto di riferimento. Se un giocatore di Varese la prossima volta facesse una scenata simile, con quale faccia potrebbe rimproverarlo? L’allenatore può essere un amico, un confidente, ma in primis è un capo, e da capo ha il dovere di essere un modello ed un esempio. Non per questo dobbiamo affrettarci a puntargli il dito contro: Pozzecco allena da appena due anni, deve fare esperienza e per smussare il suo temperamento c’è tempo. L’espulsione di domenica è stata un episodio increscioso, ma servirà anche per imparare a non cadere più in trappole simili.

Ovviamente non vogliamo un allenatore vecchio stampo, imbalsamato, troppo attento a non rovinare giacca e camicia. Il nuovo è sempre stato utile per svecchiare l’ambiente, dare quel tocco fresco di novità, indispensabile per mantenere un interesse vivo. Pozzecco, infatti, è tanta roba per rendere il nostro basket e il nostro campionato ancor più interessanti. Idolo di una generazione per le sue grandi gesta sul campo, il suo status di testa-matta e un’aurea quasi di autentica celebrità lo hanno reso un’icona unica, forse conosciuta anche a chi non bazzica molto con la palla a spicchi. Il suo approdo a Varese è stato uno dei motivi di maggior interesse per l’inizio del nuovo campionato e le circostanze lo hanno dimostrato. Forse il cercare di ridurre episodi del genere può giovare anche a lui stesso: forse gli farà più piacere sentire qualcosa a proposito della sua squadra, della sua voglia di non mollare mai, di una squadra con evidenti problemi in difesa, ma anche capace di esprimere un gioco d’attacco di spessore, a tratti davvero travolgente e bello da vedere. Il clamore raggiunto dalla sua espulsione fornisce l’occasione propizia per cominciare quasi da zero: scontare queste due giornate di squalifica comminategli e ripresentarsi diversamente: non con uno spirito diverso, perché se Gianmarco Pozzecco è diventato “il Poz” il merito è anche per come lui è, ma con la voglia, la capacità e la consapevolezza di auto-controllarsi in determinate situazioni.

Chi vi scrive ha assistito alla sua conferenza stampa contro Roma, con il suo presentarsi in maniera simpatica ed ironica, lo scherzare, l’inserire qualche volgarità, prima di un’attenta disamina della partita e della situazione della sua squadra, consapevole delle problematiche in cui migliorare e da correggere. Questo deve essere Pozzecco: cercare di rimanere sé stesso, non snaturandosi troppo, ma mostrarsi soprattutto per quelle che sono le sue mansioni e le sue competenze da coach.

Non finire sulle prime pagine e sulla bocca di tutti per il suo modo di fare e di essere, ma usare questi ultimi, anche a costo di reprimerli, per far vedere di essere un allenatore non inferiore al giocatore che per anni ci ha incantato. Lo ha già fatto nella sua prima carriera, perché non riuscirci anche in questa seconda avventura?

In bocca al lupo per la carriera.

Bernardo Cianfrocca

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