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La Grandezza di Bill Russell

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“At that time, it was never acceptable that a black player was the best”
– Bill Russell

Sono sempre più convinto che la bellezza dello Sport, qualunque sia quello che più vi smuove le corde del cuore e della memoria, non sia legato al lato tecnico. Certo, il singolo gesto o il singolo momento che vi rimarrà per sempre impresso in quell’angolino del cervello dove tenete i ricordi più belli è ciò che suscita l’emozione immediata. Ma ciò che eleva e rende immortale quello stesso Sport sono le Storie che lo caratterizzano.

Quella di William Felton “BillRussell, appena mancato all’età di 88 anni, è una di quelle.

Nasce a Monroe, Louisiana, a metà degli anni ’30, in un contesto come quello del profondo Sud degli Stati Uniti che non è certamente facile per una famiglia di afroamericani, nonostante nonno Jake fosse il primo della famiglia ad essere nato uomo libero. Ma la segregazione razziale è più che mai radicata e così i Russell decidono di muoversi e si stabiliscono ad Oakland, California.

Poco dopo il trasferimento verso la costa ovest però viene a mancare mamma Cathy, fondamentale nel formare il carattere orgoglioso di Bill e a spingerlo a non sottovalutare la propria educazione, fattore imprescindibile per un giovane nero per potersi farsi strada nella vita. Papà Charlie riesce a realizzare il sogno della moglie iscrivendo Bill alla McClymonds High School, che ha un’ottima tradizione di atleti tra i propri alunni, spianando poi la strada verso la borsa di studio al college di San Fransisco.

Ed è qui che nasce l’amore (reciproco) tra Bill Russell e la pallacanestro. Un amore che ha permesso al primo di diventare lo sportivo americano più vincente di tutti i tempi (11 titoli NBA vinti con i Boston Celtics in 13 stagioni giocate, oltre a due titoli NCAA e una medaglia d’oro olimpica) e alla seconda di vedere cambiata la propria storia, tanto è stata l’influenza che ha generato Russell on the court e off the court.

Per ciò che riguarda il mero aspetto tecnico del Gioco, sono in pochi (almeno in Italia) coloro i quali possono dire di aver seguito dal vivo e “in diretta” le gesta di Bill. Eppure dai racconti e dai filmati, la rivoluzione dei concetti difensivi (in uno contro uno, in aiuto e a rimbalzo, generando contropiede con l’outlet pass) e la sostanziale invenzione della stoppata rimarranno indelebili a vita nella storia della pallacanestro, riuscendo in un contesto di eccellenza a fare ciò che nessuno aveva mai fatto prima. Il suo dominio mentale e fisico (anche su giocatori nettamente più baciati dal talento rispetto a lui, vedasi la rivalità/amicizia con Wilt Chamberlain) gli ha permesso di avere un record di 21-0 nelle partite decisive di una serie, anteponendo la ricerca ossessiva dei successi di squadra alla propria glorificazione personale.

Ma è al di fuori del parquet che Bill Russell lascia un vuoto incolmabile. Primo capo allenatore nero di una squadra sportiva professionistica americana e primo a vincere una competizione, facendo da pioniere per tutte le generazioni successive e tracciando un percorso per nulla scontato durante un’epoca in cui vigeva il tremendo pensiero per cui non era neanche vagamente possibile che una persona con la pelle nera potesse avere gli stessi diritti di una con la pelle bianca.

L’NBA nel passato recente è stata sempre all’avanguardia nel portare avanti e nel promulgare valori come, per citare Adam Silver, il rispetto, l’uguaglianza e l’inclusione: tanto di tutto questo è partito proprio all’ex centro dei Celtics, che ha marchiato a fuoco nel DNA della Lega le battaglie per i diritti civili e la giustizia sociale. Basti pensare, tra le altre storie, a quando al meeting di Cleveland del 4 giugno 1967, nel quale insieme a Jim Brown, Kareem Abdul-Jabbar e altri atleti afroamericani di spicco si schierò apertamente in supporto di Muhammad Alì e al suo rifiuto di combattere in Vietnam. Oppure a quando decise di boicottare una partita in Kentucky perché nello stato le persone di colore erano ancora costrette a usare bagni, ristoranti e alberghi diversi rispetto ai bianchi, facendosi carico in prima persona della lotta contro il razzismo.

La grandezza di Bill Russell è stato fare tutto questo quando esporsi così era pericoloso per la sua stessa incolumità, data l’enorme quantità di insulti e minacce subite nel corso della sua carriera, anche dai propri tifosi solo per il fatto di avere la pelle di colore nero. Il suo impegno e la forza delle sue posizioni sono stati cruciali per generare quell’attivismo che ora è dilagante nell’NBA moderna, mai così attiva politicamente e sociale meme.

Anche il 26 gennaio 2020 era una domenica sera e come quel giorno, quando appresi la notizia della morte di Kobe Bryant (il primo vincitore del premio di MVP delle Finals quando nel 2009 fu ribattezzato Bill Russell NBA Finals Most Valuable Player Award) anche oggi il mio cuore cestistico ha perso un paio di battiti. Può sembrare banale e un po’ retorico provare questi sentimenti per una persona così distante, eppure tutto ciò che adesso ci fa emozionare quando una palla a spicchi rimbalza sul parquet o rilascia quel suono poetico a contatto con la retina è possibile anche e soprattutto per merito di William Felton Russell, del suo coraggio e della sua determinazione nell’essere stato la voce di una generazione. Una voce che ha cambiato il mondo di quelle successive.

Kareem, Magic, Michael, Hakeem, Kobe, LeBron e tutti gli altri ti ringraziano. E noi con loro.

Ciao Bill.

Michele Manzini

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