The Fab Five: la favolosa storia di un miracolo incompiuto

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ncaa-march-madnessLa March Madness di NCAA si è da poco conclusa, coronando la spettacolare stagione 2013-14, forte di talenti eccezionali e – chissà – future star NBA. La competizione in sé, come spesso accade, ha stravolto le gerarchie portando in finale i Connecticut Huskies di Shabazz Napier, che si sono aggiudicati il titolo sconfiggendo i sorprendenti Kentucky Wildcats. Proprio questi ultimi non sono riusciti nell’impresa di vincere un titolo universitario con un quintetto titolare composto unicamente da freshmen, ovvero ragazzi al primo anno di università. Il raggiungimento delle finali da parte del team di Calipari è stato considerato da molti un’impresa storica, ma a qualche appassionato della pallacanestro d’oltreoceano saranno fischiate le orecchie pensando alla stagione 1992-93; la stagione dei Fab Five.

La skyline di Detroit, capoluogo del Michigan (Bernt Rostad, flickr.com)
La skyline di Detroit, capoluogo del Michigan (Bernt Rostad, flickr.com)

Il fulcro di questa storia è una regione a nord-est degli Stati Uniti d’America di cui è capoluogo Detroit, la città industriale più importante del paese a stelle e striscie. Lo stato è il Michigan, che oltre a produrre gran parte delle automobili d’America, gode di un’invidiabile tradizione cestistica. Oltre ai celeberrimi Detroit Pistons (la cui storia non viene onorata dall’attuale gestione), lo “stato del grande lago” vanta ben due università nell’elite del basket universitario americano: i Michigan State Spartans e i Michigan Wolverines. Proprio i Wolverines – che in questo draft metteranno (forse?) sul piatto talenti quali Nick Stauskas e Glenn Robinson III – sono i protagonisti di questo racconto.
Correva l’anno 1991; l’università di Michigan, vittoriosa nel 1989, vive una crisi di risultati scoraggiante a partire dai mesi successivi all’exploit della decade precedente. Coach Steve Fisher, eroe in patria in quanto vincitore della March Madness alla prima panchina da head coach proprio nell’89, deduce l’emergenza di rinvigorire la squadra, andando a pescare i giusti talenti per riportare i Wolverines nell’olimpo della NCAA. Aiutato dai propri collaboratori, Fisher individua in cinque ragazzi l’arma del rilancio: Juwan Howard (Chicago), Jimmy King (Indiana), Ray Jackson (Austin) vengono pescati al di là dei confini di stato, mentre Jalen Rose e Chris Webber sono entrambi nati e cresciuti a Detroit. Questa classe di freshmen passerà alla storia con il nome di Fab Five.

I Fab Five in posa con Steve Fisher (blacksportsonline.com)
I Fab Five in posa con Steve Fisher (blacksportsonline.com)

Già nei primi allenamenti le cinque matricole trovano subito il giusto feeling l’uno con l’altro, instaurando un rapporto che va al di là delll’essere compagni di squadra. Si sentono fratelli. All’inizio della stagione 1992-93, coach Fisher azzarda da subito una scelta rivoluzionaria per quei tempi: sin dal match d’apertura contro i campioni in carica della Duke University allenata dal leggendario Coach K, Michigan schiera tre freshmen nel quintetto titolare (Webber, Howard e Rose). I ragazzi rispondono presente, mettendo alle strette la corazzata di Krzyzewsky dopo essere stati sotto di diciassette punti e costringendo i Blue Devils a vincerla solamente all’Overtime.
Pochi mesi dopo, contro Notre Dame, Fisher schiera per la prima volta nella stagione Webber, Howard, Rose, King e Jackson insieme dal primo minuto. Molti la considerano una scelta folle e esagerata, ma sono costretti a ricredersi dopo pochi secondi dalla palla a due, quando inizia lo showtime di Michigan. Giocare con cinque freshmen titolari oggi è diverso da farlo allora, in quanto le vecchie regole di NBA non permettevano ai giocatori del primo anno di essere draftati. La maggior parte dei team era quindi composta da Sophomores o Juniors, vale a dire gente al secondo o al terzo anno.

Chris Webber, punta di diamante dell'attacco dei Wolverines. (wikipedia.org)
Chris Webber, punta di diamante dell’attacco dei Wolverines. (wikipedia.org)

I cinque freshmen di Michigan, in ogni caso, non sembrano tali; la loro alchimia di gruppo si traduce sul campo in una pallacanestro dinamica e altruista che esalta le quaità di ogni singolo giocatore. I Wolverines danno spettacolo asfaltando gli avversari a suon di schiacciate, ma sono i passaggi ad impressionare maggiormente: i ragazzi di coach Fisher si trovano ad occhi chiusi, prevedendo i movimenti dei compagni di squadra e dando l’impressione di giocare insieme da decenni. In regular season Webber viaggia ad una media di 19,2 punti a partita, seguito da Rose (15,4) e Howard (14,4), ma lo spettacolo espresso sul parquet di gioco non è riassumibile in nude statistiche.
Oltre a stupire per l’energia e il carattere messi in campo, i freshmen di Michigan fanno scalpore per il loro look. Si tratta di cinque ragazzi di colore con capelli rasati a zero e spesso coperti da berretti hip-hop prima e dopo le partite. Indossano pantaloncini di taglie più grandi, estremizzando il concetto di pantalone lungo introdotto da Michael Jordan qualche anno prima, e fanno qualcosa che nessuno aveva fatto prima di allora: indossano sia scarpe che calze nere. Le matricole trasportano l’emergente cultura underground nel campo da basket, diventando così veri e propri beniamini della giovane folla. La dirigenza di Michigan è addirittura costretta a mettere delle guardie del corpo al seguito di ragazzi di diciannove anni, cosa mai vista prima nel mondo della pallacanestro. Grazie allo stile di gioco spumeggiante e il look giovanile, i cinque nuovi titolari si conquistano il soprannome di Fab Five, i favolosi cinque.

Coach K, da molti considerato il miglior allenatore in circolazione, i suoi Blue Devils sconfissero in finale i Wolverines (wikipedia.org).
Coach K, da molti considerato il miglior allenatore in circolazione, i suoi Blue Devils sconfissero in finale i Wolverines (wikipedia.org).

A fine stagione, Michigan si qualifica con la testa di serie numero sei della propria regione e, passando attraverso ardue sfide, raggiunge la finale contro gli odiati avversari di Duke. Per coach Fisher è già record: è la prima volta nel torneo NCAA che una squadra raggiunge la finale con un quintetto titolare composto da soli freshmen. Per i ragazzi si tratta dell’occasione della vita: la loro pallacanestro dinamica e underground si scontra con l’esperienza dei campioni di Duke, allenati da un maestro tattico e ordinato come Coach K. Nel primo tempo il confronto regge, con le squadre che si rispondono punto su punto, ma nella secondà metà di gioco viene fuori il divario tecnico e mentale tra le due squadre: i Blue Devils si aggiudicano il match senza problemi, bissando il successo dell’anno precedente. Per Michigan, al contrario, la sconfitta è dolorosa e lascia in bocca il gusto amaro dell’impresa solamente sfiorata, nonostante in tutto l’ambiente ci sia la convinzione che l’anno seguente sarà quello della definitiva consacrazione dei Fab Five.

Juwan Howard ha vinto due anelli negli ultimi due anni della sua carriera, giocando con i Big Three di Miami
Juwan Howard ha vinto due anelli negli ultimi due anni della sua carriera, giocando con i Big Three di Miami

Tuttavia, non sarà così. Nella stagione 1993-94, dopo una regular season impeccabile e una fase ad eliminazione diretta senza troppi affanni, Michigan perde in finale contro la meno blasonata North Carolina University, partita in cui gli ultimi secondi hanno un che di surreale. Sotto di due punti, i Wolverines affidano il possesso decisivo alla propria stella, Chris Webber, che però sbaglia tutto: inizialmente commette infrazione di passi, non visti dall’arbitro, poi finisce nella trappola di metà campo e chiama il time out a venti secondi dal termine nonostante il suo team non ne abbia più a disposizione. La terna arbitrale punisce Webber, come da regolamento, con un fallo tecnico e la freddezza dalla lunetta di un giovanissimo Stackhouse permette a North Carolina di conquistare il titolo.
A fine partita i Wolverines sono distrutti psicologicamente, consapevoli che non ci sarà una terza occasione per i Fab Five. Webber si dichiara infatti eleggibile per il draft NBA, e verrà selezionato con la prima scelta assoluta dai Sacramento Kings. Anche in NBA il nativo di Detroit non riuscirà mai a centrare un titolo, nonostante l’invidiabile media di 20.7 punti a partita in carriera e numerose convocazioni all’All Star Game. Proprio a Webber verrà più volte chiesto il motivo della decisione che costò il titolo ai Wolverines, ma ad oggi è rimasto ancora uno dei molti misteri irrisolti della pallacanestro. L’anno seguente anche Howard, Rose e King entreranno nella National Basketball Association, nonostante King vi rimanga solamente per una stagione, optando in seguito per una carriera nella defunta CBA. Ray Jackson, al contrario, non sfonderà mai nel mondo della pallacanestro e si dedicherà a funzioni manageriali in un’organizzazione no-profit da lui fondata.

Jalen Rose, toccanti le sue dichiarazioni riguardo agli ex.compagni del College (eurweb.com)
Jalen Rose, toccanti le sue dichiarazioni riguardo agli ex.compagni del College (eurweb.com)

Ad oggi, la storia dei Fab Five rimane uno dei più bei racconti di uno dei miracoli incompiuti della pallacanestro. Howard, Webber, King, Rose e Jackson, nonostante il loro talento e la loro spettacolarità, non sono mai riusciti a vincere insieme, ma la pallacanestro, come sempre, trasmette valori anche più importanti del successo, come la dedizione ad una causa, la lealtà e l’amicizia. In questo senso la storia dei favolosi cinque funge da esempio per le generazioni future.

<<Siamo fratelli e saremo sempre fratelli. Loro mi hanno reso ciò che sono, e io so che – non importa cosa mi potrà succedere nella vita – oltre alla famiglia, che il mio stesso sangue, loro sono la cosa più vicina che ci sia a dei fratelli sanguinei per me.>> Jalen Rose, ex-playmaker dei Fab Five riguardo ai suoi compagni Wolverines.

Niccolò Armandola

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