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Esclusiva, Bianchini: “Gentile? Bruciato da Milano ma testa non all’altezza”

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Valerio Bianchini, uno dei più grandi allenatori della storia del basket italiano, ha parlato in esclusiva a BasketUniverso di Nazionale, basket italiano in generale, personaggi e anche Alessandro Gentile.
“Il Vate” è stato molto schietto e onesto, tant’è che ha parlato di risultato discreto i Quarti di Finale alle Olimpiadi.

Qualche anno fa un personaggio di spicco della nostra pallacanestro che lei ben conosce disse “il basket italiano è in salute”: letta oggi quella frase è di attualità?

“Ovviamente no. In questo momento possiamo sfruttare una congiuntura favorevole di giovani giocatori di talento e di italiani maturati all’estero, e questo ha dato in mano a Sacchetti una buona Nazionale e lui ha saputo guidarla molto bene. Ma ciò non significa che i problemi e i limiti che Recalcati aveva già evidenziato dopo Atene siano spariti. Non è cambiato nulla da allora. Se il movimento sportivo riesce a dare 40 medaglie a un’Italia priva di impianti sportivi, in la cui scuola ignora lo sport, dove il calcio annulla tutti gli altri, pensiamo cosa potremmo fare con politiche sullo sport ben strutturate. Non costruiamo né campi né palazzi, bruciamo tutto in nome della competizione”.

Il risultato discreto delle Olimpiadi non deve farci dimenticare che i giovani arrivano a 18 anni solo grazie a immensi sacrifici delle famiglie, ma poi spariscono perché non c’è un sistema di formazione del giocatore. C’è inoltre anche un problema di comunicazione: i giornali nazionali non si occupano mai di basket”.

Nico Mannion può veramente essere un “crack” per il basket italiano? Potrebbe diventare una sorta di “uomo immagine” da cui partire a livello comunicativo? Cosa dobbiamo fare affinché non si butti via quest’occasione come invece abbiamo fatto con Gallinari?

Non bisogna sovraccaricarlo di responsabilità perché ricordiamoci che ha pur sempre 20 anni. Ha però potenzialità strepitose, ma deve migliorare in diverse cose (come per esempio tiro da fuori e lettura del gioco. Deve restare coi piedi per terra e continuare a “studiare” e per lui è molto positivo il fatto che la Virtus sia tornata a essere un vera sfidante. Questo non può che far bene al nostro basket e a Mannion stesso”.

Naturalmente oggi parliamo tantissimo di Alessandro Pajola. Pensa possa davvero arrivare in NBA come grande specialista difensivo oppure è un’esagerazione?

“Pajola è un giocatore preziosissimo: eccezionale in difesa, rapido, generosissimo, è molto intelligente, capisce bene il gioco e sa dare il ritmo giusto in attacco. Per me lui è uomo squadra. Sono tutte qualità che purtroppo in NBA non interessano, dove il regolamento stesso protegge gli attaccanti e penalizza chi fa della difesa uno dei suoi punti forti”.

Fontecchio, Pajola, Mannion stesso: nomi di 3 giocatori giovani che a Tokyo hanno fatto molto bene. Sono una base per costruire la Nazionale del futuro, o manca qualcosa di strutturale nella squadra (come un lungo di spessore internazionale)?

“In molti ripongono tante speranze in Banchero, speriamo possa integrarsi bene nel gruppo, ma altro “materiale umano” di un certo livello non si intravede. Poi col gioco di oggi con un uso esasperato del tiro da 3 e del pick and roll, il ruolo di centro classico è molto ridimensionato, occorrono lunghi che sappiano aprirsi dall’arco con credibilità o molto bravi a “rollare”. E di giocatori con queste caratteristiche oggi l’Italia non ne ha”.

Charlie Recalcati ci disse una cosa: non sappiamo più creare personaggi. Secondo lei perché non riusciamo più a produrre, anche solo mediaticamente, personaggi come Pozzecco o Carlton Myers, giusto per citarne un paio? Di chi è la colpa? Di noi giornalisti che non sappiamo valorizzarli oppure è colpa loro che sono poco propensi a questo tipo di attività?

“Personaggio mediatico o uno ci nasce altrimenti non lo diventa. Oggi non vedo né personaggi particolarmente istrionici, né particolarmente “preparati” in modo da fare da traino per il movimento. E non è un problema solo di giocatori ma anche di allenatori. Il segreto per essere “personaggio” è amare incondizionatamente questo sport, avere grande spirito di osservazione anche sull’aspetto umano, non solo tecnico, e devi essere in grado di raccontarlo e di lavorarci in modo creativo. Oggi vedo poco questi aspetti, giocatori e allenatori non sanno stimolare la stampa “raccontando” il gioco”.

Si è chiuso il ciclo di quella che qualcuno aveva definito “la Nazionale più forte di sempre”, con Belinelli, Datome, Hackett, Gallinari, Gentile, che a dire il vero ha raccolto poco o nulla. Questo appellativo la fa sorridere?

“Questa frase l’ha detta qualcuno che non ha conosciuto le Nazionali prima di questa (ride, ndr). Le nazionali degli anni ’80 con l’oro europeo di Nantes aveva giocatori di spessore elevatissimo (Meneghin, Villalta, lo stesso Sacchetti, Caglieris ecc.), così come la squadra che vinse gli europei a Parigi nel ’99. Sulla carta puoi essere fortissimo ma l’ultima parola spetta al campo. Se non vinci nulla, non puoi essere definito il migliore”.

Parliamo un attimo di Alessandro Gentile. 10 anni fa tutti quanti eravamo certi che sarebbe andato in NBA. Oggi, a soli 28 anni, non gioca le coppe europee e quasi fatica a trovare squadra. Cos’ha sbagliato lui e cos’ha sbagliato il basket italiano nel suo percorso di crescita?

“Lui è uno dei famosi giocatori bruciati da Milano: era una grande promessa e all’Olimpia ha iniziato a perdere il senso e la giusta via per diventare un grande giocatore. Resto sempre perplesso quando un giocatore professionista oggi non riesca a segnare i liberi: è un indice delle difficoltà caratteriali che forse l’hanno limitato. Gli strumenti ce li ha ma evidentemente la testa non è all’altezza delle capacità tecniche”.

Facciamo un tuffo nel passato: il giocatore che a suo avviso sarebbe potuto essere fortissimo, ma che per motivi vari non è mai riuscito a sfondare o a rendere quando avrebbe potuto?

“Questa è una domanda difficile, ma se devo pensare a qualcuno mi viene in mente Andrea Gracis: aveva una vocazione fortissima a giocare per la squadra e si “dimenticava” di giocare per se stesso. Emblematico è un episodio: andammo a giocare il McDonald’s open di Madrid con Real Madrid, Boston Celtics e una selezione della Yugoslavia. Giocammo rilassati e in totale libertà e senza l’assillo del risultato. Gracis vinse il titolo di miglior marcatore davanti a un tale Drazen Petrovic. Quando invece c’erano punti in palio, Gracis si votava completamente alla squadra e questo a volte lo ha limitato”.

Quanto le fa male non vedere una squadra di Roma in serie A? Vede degli spiragli di luce in fondo al tunnel o dovremo abituarci a convivere con questa situazione?

“Temo che dovremo abituarci a questa situazione a lungo termine: vedere che la squadra non c’è, ma addirittura neanche un palazzetto di livello, fa capire quanto poco interessi il basket a Roma. Mi riferisco sia agli imprenditori che ai tifosi, è un ambiente rassegnato. Non fa male a me, fa male al basket. Un vero peccato per tutti noi”.

Ringraziamo Valerio Bianchini per averci concesso quest’intervista e averci dato molti spunti di riflessione su Italbasket, Serie A, personaggi, Gentile e Roma.

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Riccardo Picco

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