Shane Lawal ha segnato la storia della Dinamo Sassari. Ma non solo, perché Shane Lawal ha segnato in parte la storia della Serie A, per quello che ha fatto in quella stagione con i sardi, capaci di battere la corazzata Olimpia Milano in semifinale Scudetto e poi la Grissin Bon Reggio Emilia in finale.
BasketUniverso ha avuto il piacere di intervistare Lawal, oggi coach a livello giovanile ed ex Player Development Coach dei Sacramento Kings. Il nostro “viaggio” con lui inizia proprio da quest’esperienza bellissima che ha potuto vivere in NBA grazie a coach Mike Brown.
Com’è stata l’esperienza di Player Development Coach dei Sacramento Kings nell’NBA?
Devo dire che è stata una grandissima esperienza. Mi ha dato l’opportunità di vedere com’è il basket NBA da dentro e di poterlo paragonare a quello in Europa o in altri Paesi nel mondo o a livello giovanile. Hai l’opportunità di lavorare con i migliori, mi ha permesso di migliorare molto, è stata proprio una bellissima esperienza, soprattutto la parte di videoanalisi.
Come si è presentata quest’opportunità?
Chimezie Metu, un mio grande amico, ha suggerito a coach Mike Brown di avere un nigeriano all’interno del coaching staff della Nigeria [di cui Brown è stato CT nel 2020-21, ndr], composto da soli allenatori americani. Così coach Brown si è fatto dare una lista di possibili nomi e ha scelto me. Le cose sono andate bene e mi ha proposto di raggiungerlo a Sacramento.
Puoi spiegarci in cosa consiste il lavoro di Player Development Coach?
Hai la responsabilità su 2-3 giocatori, dipende dalla squadra: devi migliorarli in qualsiasi aspetto del loro gioco. Questo lo devi fare negli allenamenti quotidiani, prima degli allenamenti, dopo gli allenamenti, prima delle partite e in generale in tutti i momenti collegati al basket. Un lavoro importante è quello di videoanalisi, puoi far vedere loro dove devono migliorare.
I Kings sono stati una delle peggiori squadre dell’NBA per molte stagioni, mentre l’anno scorso hanno fatto benissimo. Cosa è cambiato?
Hanno una serie di giovani giocatori molto forti. Domas Sabonis per esempio, fortissimo, ma anche Malik Monk, De’Aaron Fox, Harrison Barnes e altri che ben conoscete. In più sono un grande gruppo e hanno un ottimo coaching staff guidato da Mike Brown, questo fa la differenza.
Durante la tua carriera sei stato un giramondo, giocando in paesi come Qatar, Kazakistan e Libia. Com’è stato per un rookie giocare così lontano da casa e cosa puoi dire del basket e dello stile di vita in questi Paesi?
Uno degli aspetti più difficili per un giocatore quando va all’estero è l’ambiente. Giocare a pallacanestro a volte può essere difficile, ma non quanto adattarsi alla lingua, alla cultura, al fatto di non avere la propria famiglia intorno e a volte di non essere pagati per quello che si fa. Non so se lo sapete, Avellino mi deve ancora un sacco di soldi e non so se li vedrò mai. Non è per niente facile, bisogna saper accettare tutto questo, ma se si ha la giusta passione si possono ottenere grandi risultati.
Stagione 2014-15, Dinamo Sassari. Avete vinto 3 trofei. È stata la stagione più bella della tua vita? Com’è stato lavorare con coach Sacchetti e giocare con Logan, Dyson, Sanders e altri giocatori importanti di quella squadra?
Quella è senza dubbio stata la miglior stagione della mia carriera. Non iniziavamo mai una partita senza l’idea di poterla vincere. Giocavamo in EuroLega e andavamo in tutte le gare con l’idea di poter portare a casa il bottino pieno, pur affrontando veri e propri fenomeni. Non prendetemi per pazzo quando dico questo, noi ci credevamo davvero! Eravamo un po’ come la Varese di oggi, giocavamo velocissimi, ma a differenza di oggi giocavamo contro delle super difese. Reggio Emilia era tostissima in difesa, Milano anche. Abbiamo giocato contro alcune delle migliori difese degli ultimi anni, ogni gara era una guerra contro certe squadre.
Offensivamente erano anni che in Italia non si vedeva una squadra così forte e con così tanti campioni tutti insieme: Logan, Dyson, Sanders ma non solo, perché c’erano anche Sosa e Brooks, per esempio. Quando giochi a basket guardi negli occhi gli uomini che hai accanto e nei loro vedevo bruciare qualcosa di diverso, sapevo che avrei potuto contare su di loro nei momenti di difficoltà, ci fidavamo l’uno dell’altro. Non c’è mai stata una gara in cui ero in difficoltà in cui non sapessi che qualcuno di loro mi avrebbe aiutato a uscire da quel tunnel.
Dopo Sassari sei passato al Barcellona, uno dei club più importanti d’Europa. Ma qualcosa è andato storto in quei due anni. È stato solo a causa dell’infortunio durante le Olimpiadi di Rio? Hai qualche rimpianto per quel periodo?
Ho parzialmente rotto il menisco durante il quarto quarto di gara-5 delle finali Scudetto contro Reggio Emilia nel tentativo di prendere un rimbalzo. Quella sera non riuscivo a camminare. Ma 2 giorni dopo avremmo dovuto giocare a Sassari gara-6, non potevo mancare. Ugo D’Alessandro, il nostro fisioterapista ai tempi di Sassari, continuava a mettermi il ghiaccio, me lo stringeva, ha fatto di tutto per mettermi in piedi per gara-6. In quel match ho fatto bene ma in gara-7 no, non ce la facevo proprio, non riuscivo a muovermi. Drake Diener faceva quello che voleva contro di me. Ma non mi sono fermato e la settimana dopo lo Scudetto ho raggiunto la Nazionale della Nigeria per gli allenamenti: nell’estate del 2015 ho praticamente sempre giocato, prima di arrivare a Barcellona.
A quel punto avevo solo mezza gamba, neanche una. Ho fatto tutto il 2015-2016 su mezza gamba fino a infortunarmi del tutto a febbraio del 2016 contro lo Zalgiris. Mi hanno detto che sarei dovuto stare fuori 2-3 mesi nel 2016 ma sono tornato in campo in nemmeno un paio di mesi perché volevo giocare le Final Four di EuroLega. Purtroppo non stavo bene e non ho giocato molto, abbiamo perso e non siamo arrivati né alle Final Four né alle finali di Liga ACB, non ce l’abbiamo fatta contro il Real Madrid. Sfortunatamente alle Olimpiadi del 2016 mi sono fatto male di nuovo perché mi sono rotto il tendine rotuleo ed è successo quello che è successo. Non ho rimpianti perché ho fatto tutto quello che potevo fare, mi spiace non essere stato mai in condizione durante i miei due anni con il Barcellona perché avremmo potuto fare grandi cose.
Qualche mese fa sei tornato a Sassari per un camp con giovani cestisti. Può darci maggiori dettagli su questo progetto?
Sono tornato a Sassari per fare un camp nel 2022. Mi sono divertito tantissimo e spero di farne altri. Vorrei renderla un’attività costante, ma deve avere senso economicamente e deve essere sostenibile. Perché ho dei bambini e il periodo estivo è quello in cui ho poco da fare col basket, vorrei stare con la mia famiglia. Quindi vorrei che il tempo speso venisse ripagato adeguatamente. Non vorrei farlo solo a Sassari, ma replicarlo magari a Milano, Verona e altre città italiane. Faccio un appello: se volete organizzare un camp, chiamatemi, posso aiutarvi a portare anche altri giocatori per insegnare alle generazioni future.
Quali sono i progetti di Shane Lawal per il futuro? Ti piacerebbe allenare? E perché non in Italia e soprattutto alla Dinamo?
Beh, alleno dal 2018. Attualmente sto ancora allenando nei settori giovanili. Voglio allenare, a qualsiasi livello, a partire dai giovani. Ragazzi o ragazze, non mi interessa. Voglio allenare da professionista in Italia, in Europa, in Russia, ovunque ci sia l’opportunità di allenare. Voglio combinare quello che ho imparato in NBA a quello che ho imparato in Europa,per diventare il miglior allenatore possibile. Naturalmente prima di accettare qualsiasi proposta ne parlerò con la mia famiglia, in modo che sia felice di questa decisione. Volevo allenare la Nigeria ma non mi hanno mai risposto, quindi ho deciso di non precludermi nessuna opportunità per l’amore che ho per questo gioco.
Infine voglio dire che mi piacerebbe allenare insieme a Meo Sacchetti. Io e Meo abbiamo avuto momenti di discussione, di contrasto, ma gli voglio bene perché ogni volta ha protetto me e i miei compagni. Per questo gli sarò sempre grato, per questo mi piacerebbe allenare con lui. Forza Meo!
Ringraziamo Shane Lawal per la disponibilità e gli facciamo un grossissimo in bocca al lupo per la sua carriera da coach, sperando di poterlo vedere presto allenare in Italia.
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