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EA7 Milano: servono profonde riflessioni

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Malincuore e tanta amarezza nel raccontare l’ultimo episodio che ha reso protagonista la regina del basket italiano, l’Olimpia EA7 Milano, in EuroLega nella serata di giovedì.

In negativo, purtroppo, è stata scritta una pagina di storia. Perché subire in soli 13 minuti una rimonta dal +27  (con 50 punti subiti) è un evento che difficilmente potrà esser dimenticato con una birra al pub.

Può capitare, direbbe qualcuno. Ma non deve capitare, specialmente alla nostra rappresentante più ambiziosa nel grande basket europeo.

Nei confronti dell’EA7 Milano ci sono grosse aspettative e pretese, non solo da parte dei suoi più fedeli supporters, ma anche dalla maggior parte del movimento di appassionati della palla a spicchi italiana.

Una situazione stagnante che si protrae da tanti, troppi anni. Tanti investimenti, tanti nomi esaltanti, ma la sostanza vede l’EA7 ancor molto distante dal livello più alto del palcoscenico europeo.

Milano è una società che non ha bisogno di progetti volti a una crescita. Milano è già una società molto ben strutturata, capace di attrarre professionalità illustri sia nel parco cestisti che in quello dei manager e staff tecnico; dispone di strutture molto all’avanguardia, investe bene sul settore giovanile, ha il merchandising migliore tra i club italiani e attrae sponsorizzazioni di livello.

Qual è allora il problema?

La cosa che più spaventa è la difficoltà nel cercare margini di crescita perché se ne vedono pochi. Addirittura c’è chi suggerisce un ridimensionamento – in termini di investimenti – per migliorare i risultati sportivi. Un concetto apparentemente assurdo, ma che nasconde una valutazione assolutamente legittima. Negli ultimi anni Milano si è approcciata a un mercato elitario, spesso puntando più al curriculum del giocatore anziché all’aspetto mentale e motivazionale dello stesso. È un problema solo e unicamente tecnico perché la società (seppur abbia registrato qualche perdita a bilancio negli ultimi esercizi), resta patrimonialmente solida e finanziariamente ben coperta dalla protezione di uno dei più grandi imprenditori (e appassionati di pallacanestro) italiani.

Il monteingaggi di Milano sfiora i 25 milioni di euro, con diversi giocatori (Mirotic su tutti) a fine carriera e percettori di cifre sproporzionate, a nostro avviso, se parametrate al fatturato in campo.

Lo scorso anno, nel momento più delicato della stagione in cui fu richiesto un intervento sul mercato, furono opzionati Mc Gruder e Valentine, due profili assolutamente scollati dalle esigenze tattiche e tecniche di quel momento, ma disponenti di un bagaglio di esperienza internazionale notevole. Ed è andata male. Di nuovo.

Incapacità di portare novità tecniche

Milano sta dimostrando incapacità nel trovare, con il lavoro di scouting, giocatori poco quotati che arrivano a rendimenti alti in poco tempo e cerca di fiondarsi sempre sull’usato sicuro, nonostante porti costi superiori.

La sensazione che al roster manchi sempre qualcosa nonostante i ben 16 tesserati (e parliamo di tutti giocatori tecnicamente prontissimi) deve far aprire profonde riflessioni. Riflessioni, ugualmente, sul ridimensionamento cui vanno incontro tanti players (soprattutto giovani) che vedono Milano come una meta (soprattutto per aumenti stipendiali) e non come un punto di partenza. Un sistema che va sicuramente rivisto perché, risultati alla mano, non sta funzionando.

L’auspicio più grande è che la nostra regina possa sedersi al più presto al tavolo delle grandi.

Il nostro movimento ne ha un disperato bisogno.

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Andrea Lambiase

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