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Gianni Petrucci critica Belinelli e Datome: “I veri campioni inseguono le Olimpiadi”

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Nei giorni scorsi l’Italbasket ha dovuto incassare due “no” pesantissimi per il Preolimpico di Belgrado: quelli di Marco Belinelli e di Luigi Datome. Entrambi hanno spiegato la propria assenza con problemi fisici sopportati durante la stagione coi rispettivi club, ma ora necessitanti di riposo. Belinelli ha accusato un infortunio agli adduttori, mentre Datome una tendinite al ginocchio. L’età dei due (Beli 35 anni, Datome 33) ha fatto il resto. Se ufficialmente, nei comunicati della Federazione, il presidente FIP Gianni Petrucci si era detto in un certo senso comprensivo riguardo le scelte delle due stelle azzurre, lo stesso numero uno della pallacanestro italiana ha lanciato una pesante stoccata a Belinelli e Datome in un’intervista alla Gazzetta dello Sport.

È un uno-due che fa male, ne soffro perché fa parte di un sistema sbagliato. Il basket italiano si riempie la bocca di NBA, di Eurolega e di campionato, ma non capisce che le Olimpiadi valgono molto di più come immagine. I Giochi sono la laurea dello sport, aggiungo che si diventa campioni solo inseguendo il sogno olimpico.

Non entro nel merito delle decisioni e non voglio accusare i due giocatori. Ho provato a convincerli, ma sono rimasti sulle loro posizioni. Però mi chiedo come mai gli interventi chirurgici e il riposo vengano sempre programmati in coincidenza con gli impegni della Nazionale. Se Beli e Gigi avessero dovuto giocare la finale Scudetto fino a Gara-7 si sarebbero risparmiati?

Su precisa domanda di Andrea Tosi, autore dell’intervista, se Belinelli e Datome non fossero allora da considerare dei campioni, Petrucci ha rincarato la dose:

Non li discuto sotto il profilo tecnico, ma credo che un campione davanti alla prospettiva di giocare le Olimpiadi farebbe qualsiasi sacrificio per esserci. Ricordo ancora le lacrime di Messi e Federer ai Giochi. E chiedete a Carlton Myers, nostro portabandiera nel 2000, quali emozioni ha vissuto: gli brillano ancora gli occhi quando ne parla. Io da dirigente ne ho fatte 12 e se dio vorrà a Tokyo andrò per la 13. Ogni volta è stata un’emozione diversa, tutte impagabili.

Cambiati i tempi? Va bene, questa generazione non ha lo spirito olimpico delle precedenti. Meneghin non avrebbe mai rinunciato e di Myers ho già parlato. Io continuo a credere che i Giochi valgano una carriera. Gallinari? Non so se ci sarà, tutti sono utili ma nessuno è indispensabile.

Francesco Manzi

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