Olimpiadi 2004

Il FestivalBar e l’argento alle Olimpiadi: il 2004 che (probabilmente) non tornerà più

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Nell’estate del 2004 esisteva ancora il Festival Bar, vinto da Zucchero. Gli Articolo 31 spopolavano con L’Italiano Medio, Tiziano Ferro con Non me lo so spiegare e Vasco Rossi con Buoni o Cattivi. Facebook era stato inventato da qualche mese, internet era ancora utilizzato prevalentemente per questioni lavorative, nel 2004 le Olimpiadi tornavano ad Atene dopo 104 anni. In Grecia l’Italia ha lasciato il segno nel ciclismo con Paolo Bettini, nella sbarra con Igor Cassina e soprattutto nella Maratona con l’impresa leggendaria di Stefano Baldini. L’estate in cui il nostro Paese, ferito dallo sputo di Totti a Poulsen e dal biscotto Danimarca-Svezia che ci caccia malamente dagli Europei, scopre che le star possono essere anche schermidori (Aldo Montano) o cestisti.

20 anni fa andava tutto bene? Non proprio. L’arrivo dell’Euro aveva improvvisamente ridotto il potere d’acquisto della classe media, i rapporti fra politica e magistratura erano ridotti ai minimi termini e alcuni scandali finanziari (Cirio prima, Parmalat poi) avevano bruciato i risparmi di diverse famiglie. A Febbraio se n’era andato Marco Pantani, poco dopo Roberto Baggio aveva detto addio senza avere l’ultima chance in Nazionale. Il microcosmo della pallacanestro azzurra, però, viveva sicuramente momenti più felici di quelli attuali.

Era l’estate del ritorno in nazionale di Gianmarco Pozzecco ma soprattutto quella del clamoroso trionfo a Colonia contro i marziani di Team USA. L’estate in cui tutto il globo terracqueo della palla a spicchi si accorge che anche gli italiani sanno fare canestro, specialmente dall’arco con una guardia che fa centro da qualsiasi posizione (Gianluca Basile) e un lungo che apre il campo a meraviglia (Giacomo Galanda). Ma anche che la forza dell’amicizia era un fattore, come lo è sempre stata e sempre lo sarà nello sport: Carlo Recalcati lo sapeva bene, molto prima che Carlo Ancelotti sdoganasse il concetto.

L’Italia arriva ad alle Olimpiadi del 2004 ad Atene in fiducia. E come potrebbe essere altrimenti dopo aver battuto gli americani? L’inizio del torneo non è da incorniciare, partiamo a rilento come spesso ci accade(va) nei grandi eventi: nell’ordine vittoria risicata con la Nuova Zelanda, ko di misura con Serbia e Spagna, vittoria agevole sulla Cina e infine in volata sull’Argentina. Un secondo posto che inizia a far sentire odore di medaglia. Ai quarti vittoria contro Porto Rico, squadra sempre rognosa ma mai irresistibile. Venti anni fa, a differenza di oggi, non rappresentava uno scoglio duro per l’Italbasket. In semifinale i nostri confezionano l’impresa con una partita da incorniciare contro la Lituania.

Nell’ultimo atto delle Olimpiadi del 2004, però, bisogna inchinarsi a un’Argentina che alla lunga si dimostra più forte, dopo aver battuto anche gli Stati Uniti in semifinale. Sulle ali di quella Generacion Dorada di Scola e Ginobili che riscriverà la storia di questo sport. Il 28 Agosto 2004 arriva uno splendido argento olimpico, probabilmente la più grande impresa di sempre per il basket italiano.

L’ultimo podio dell’Italbasket, mai più capace di andare oltre i quarti di finale di una competizione internazionale. Un risultato che al momento sembra irripetibile. Di sicuro la concorrenza è aumentata, per carità. Ma è altrettanto innegabile che il nostro movimento sia rimasto fermo. In ordine cronologico: incapace di sfruttare l’onda di quel risultato, di inserire in quel nucleo i giovani che stavano emergendo, di sfruttare al meglio la risonanza mediatica dei diversi giocatori nostrani protagonisti in NBA, di amalgamare i grandi talenti successivi, di produrne di nuovi all’altezza delle altre big mondiali. Abbiamo avuto cinque giocatori NBA nati nell’arco di cinque anni (1985-1990), poi il gruppo 1993-1994 campione d’Europa Under 20. Eppure non sono più arrivati risultati di rilievo. I motivi possono essere molteplici e meriterebbero un’analisi molto più approfondita, che su queste pagine spesso abbiamo provato a stimolare.

Resta il fatto che ognuno di noi, da una certa età in avanti, è portato all’esercizio retorico di abbandonarsi alla nostalgia. Il passato nella maggior parte dei casi ci appare decisamente migliore del presente. Il problema, nel caso specifico della pallacanestro italiana, è che non s’intravvede all’orizzonte una speranza di avere un futuro paragonabile a ciò che è stato. E allora ci ritroviamo a rivangare i bei tempi andati, divisi fra l’orgoglio di aver vissuto certe emozioni e l’amarezza per le pochissime speranze di tornare ad assaporarle.

Certo, la nostalgia sta diventando una leva di marketing sempre più potente. Perciò se qualche produttore televisivo decidesse di riproporre il FestivalBar, innanzitutto ne saremmo lieti. E poi magari guarderemmo con un po’ più di speranza sia al futuro del nostro basket sia agli Europei 2025. Ma siamo sicuri che il programma televisivo avrebbe lo stesso successo? E allo stesso modo potremmo chiederci: siamo sicuri che le idee che hanno fallito dal 2004 in poi siano quelle giuste per rilanciare la nostra pallacanestro?

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