Wenyen Gabriel è uno dei pochi giocatori del Sud Sudan ad aver toccato con mano la NBA, giocandovi dal 2018 al 2024 pur avendo un ruolo molto limitato. In Nazionale però Gabriel è uno dei leader della squadra che l’anno scorso ha conquistato la storica qualificazione alle Olimpiadi e che ieri stava per compiere un clamoroso upset in amichevole contro Team USA.
Dopo il match di Londra che ha puntato gli occhi del mondo sul Sud Sudan, Gabriel ha rilasciato parole d’ispirazione ai microfoni di Cesare Milanti di Eurohoops. Wenyen Gabriel è nato a Khartoum, in Sudan, nel 1997: due settimane dopo la sua nascita fu costretto a fuggire in Egitto con la madre per via della guerra civile scoppiata nel suo Paese natale. Da Il Cairo, la famiglia Gabriel ha ricevuto il permesso di spostarsi come rifugiata a Manchester, non la città inglese bensì l’omonima americana nel New Hampshire. Nel 2017 Gabriel ha ottenuto il passaporto americano, dopo essere diventato una stella a Kentucky in NCAA, ma l’anno scorso ha scelto di giocare col Sud Sudan, Stato riconosciuto dalla comunità internazionale solo nel 2011.
“Nel nostro Paese non ci sono campi da basket al chiuso. Siamo un gruppo di rifugiati che si sono ritrovati qualche settimana fa dopo un anno, stiamo facendo del nostro meglio, giocando contro alcuni dei migliori giocatori della storia. Questo è più grande del basket per noi. Mostrare alle persone che possiamo competere e che il basket in Africa sarà fondamentale in futuro. È solo questione di tempo prima che cresca la prossima generazione di giocatori. Ci sono miliardi di persone nel nostro continente e non sono diverse da noi. Noi siamo stati capaci di rappresentare il nostro Paese e arrivare a questo livello grazie alle opportunità che abbiamo avuto. Io sono cresciuto negli USA, molti dei miei compagni in Australia, alcuni in Canada…” ha detto Gabriel.
“Nei villaggi ci sono alcuni ragazzi davvero molto alti, sono tornato in Sud Sudan per far loro visita e non hanno nemmeno un’opportunità. Sono alti 2 metri e 13 e allevano mucche. Alcune persone nel mondo non hanno nemmeno l’occasione di giocare a basket per lavoro. Devono pescare per mangiare, fare cose diverse per sopravvivere. Oggi è stato un esempio e qualcosa che dovrebbe unirci tutti. Siamo un Paese fatto a pezzi dalla guerra, abbiamo attraversato tante cose, ogni anno viene sparso tantissimo sangue. Avere qualcosa che ci unisce, per smettere di guardarci l’uno con l’altro in maniera differente, è fondamentale. Siamo un Paese piccolo, 11 milioni di abitanti, ma oggi siamo stati uniti come una sola persona. Spero che continueremo a fare cose del genere nel futuro, per stare uniti e continuare a costruire il nostro Paese. Così saremo fieri di dire che veniamo dal Sud Sudan“ ha concluso il giocatore, che in estate ha firmato per il Maccabi Tel-Aviv.
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